Un uomo che vive… tra l’Incudine e il Cielo

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Due occhi verdi si nascondono dietro i colori opachi e semplici delle sue lenti. Due occhi che raccontano la sua giovane età, camuffata da una barba leggera. Mario mi aspetta, comodamente seduto al bar del Porto Turistico di Marina di Ragusa.
Sorseggia una limonata (si, proprio acqua e succo di limone spremuto), quasi a raccontarci, con quel suo gesto, che lui si pone in un tempo tutto suo, lontano dai ritmi frenetici, cadenzati da bevande “ultragasate” (quasi da soda caustica) del XXI secolo.
La brezza leggera di settembre rinfresca questa mattina di assoluto riposo, dopo un lungo e frenetico tour che gli ha fatto percorrere le strade più nascoste della sua Sicilia, lo ha portato tra i balli curativi delle tarantelle salentine, passeggiando in riviera ligure, a Loano, per ritirare uno dei premi più prestigiosi per la canzone popolare italiana, e girovagando tra la Francia, la Croazia e la Slovenia, in un simposio di musica internazionale.
Ennese di nascita, appena 32 anni fa, Mario è un irrefrenabile globe trotter: la sua musica, la sua voce, sono gli unici bagagli che porta con sè.
Poeta multilingue di una terra che non smette di sognare, Mario ha saputo dare voce a tutti i sentimenti che l’animo umano può provare: l’ultimo, in ordine di tempo, è l’originale inno di “Italia talìa”, progetto musicale che ha appena ricevuto il prestigioso premio “Città di Loano”.
Basta leggere la nota introduttiva del CD a firma del noto scrittore e giornalista Carmelo Sardo per percepire, sulla pelle, l’empatia che Incudine ci regala: “La voce ora dolce ora incisiva di Mario Incudine ti ricorda le tragedie e i soprusi che hanno fatto la storia di questo  paese, che troppo spesso si è voltato dall’altra parte. Sembra a tratti un grido di denuncia e di rabbia sospinto dal tempo del tango. Nell’animo sensibile dei siciliani come Mario Incudine si agita una pressante voglia di riscatto. Ecco allora che ‘talìa’ assume il valore metaforico di un invito ad aprire gli occhi non solo per guardare, ma per meravigliarsi, per stupirsi…”.
Aprire gli occhi, ma soprattutto il cuore e la mente: lo ha fatto anche il popolo ragusano, che ha avuto il piacere di lasciarsi trasportare dalle emozioni, nel concerto che Mario ha regalato alla città iblea lo scorso 23 agosto, al Porto Turistico di Marina di Ragusa.
Il progetto “Italia talìa” nasce dopo avere cantato l’immigrazione con “Anime migranti” e l’Unita d’Italia con “Beddu Garibbardi”: tredici brani, in questo ultimo CD, ognuno dei quali porta dentro di sè un carico di pathos non indifferente.
L’invito ad aprire gli occhi e a far svegliare le coscienze parte subito dal brano che dà il nome al disco (“Italia talìa a sti figghi toi, ca sulu ammazzati addiventanu eroi”),  ci fa trascorrere “Notti di stranizza” (“dammi una e centu mani, dammi ventu ‘nte paroli, milli occhi ppi taliari, e sta vucca di vasari”), tenendoci svegli fino alle “Duedinotte” (“si chiuvissiru pezzi di luna mi facissi un vestitu di re, p’arrubbariti tutti i pinzera e taliari dda intra cchi c’è”) e ci fa innamorare con “Li culura” (“li culura ca hai intra l’occhi, l’haiu sunnatu di notti, ogni notti”).

A Quale di questi brani  sei particolarmente legato? E quale non smetteresti mai di cantare?
Ogni brano è come un figlio. Ha una sua storia, un suo percorso, un suo motivo per cui è stato scritto, quindi sceglierne uno è molto difficile. Credo comunque che si è più affezionati a certi brani piuttosto che ad altri e questo dipenda anche un po’ dai periodi della vita. Ci sono pezzi miei molto vecchi a cui sono legato e che ogni tanto mi piace ricantare. Adesso un brano che faccio sempre anche quando sono in formazione ridotta o devo scegliere un brani tra tanti è senza dubbio “Li cultura”. È un pezzo che mi emoziona ogni volta, che riesce a farmi trovare nelle stesse parole che io ho scritto delle sfumature sempre diverse. Sì, credo che questo per ora è il pezzo che mi piace cantare più di tutti. È un inno alla vita, e in questo periodo la mia vita è abbastanza piena di colori.

Il primo concerto di Mario nel capoluogo ibleo ed un minuto e mezzo di applausi per “Lu trenu di lu suli”, capolavoro drammatico di Ignazio Buttitta che hai riadattato e reinterpretato  con voce straordinaria e movenze da attore, seguito poi dal racconto di “Escusè muà pur mon franzè”, ritratto di un siciliano, unico sopravvissuto al crollo della miniera di Marcinelle, a cui il dolore e la vergogna di essere rimasto vivo rubano il fiato e la parola, costringendolo muto a vita e a scappare, lasciando il suo unico amore, in Belgio (“mi nni scappai ppi lu gran scantu e la virgogna ca di triccentu, Diu mi salvau. Iu ti lassai, unica rosa intra ‘u carbuni, unicu beni intra lu mali, unica cosa di ricurdari”). Quanto ti aiuta in queste performance la tua esperienza in teatro?
La musica e il teatro sono due facce della stessa medaglia. Per quanto mi riguarda non può esistere l’una senza l’altra. E’ un po’ come scegliere tra cuore e polmoni. Tutte e due sono vitali. E per me è così. Tento sempre di teatralizzare le interpretazioni musicali e di musicare i monologhi teatrali. In questo senso la mia devozione verso l’arte del cunto è la sintesi perfetta di tutto questo.
E’ fondamentale, poi, sapersi adattare  al momento in cui si percepisce una sensazione, gustarla, masticarla ed ingoiarla… Farla propria in tutti i sensi! Quando arriva nello stomaco, e la senti lì, che preme, che scoppia… Allora sì, che è diventata parte di te! Nel mio canto, coinvolgo tutti i sensi…la mia interpretazione di ogni singolo pezzo, nasce proprio da un continuo sentire, e il mio corpo si anima e si muove di conseguenza….

Ambasciatore della sicilianita’ nel mondo, Mario Incudine e’ il direttore artistico della 7Luas.Orchestra.20, una polifonica band di artisti provenienti dai paesi del Mediterraneo che portano, in un girovagare di conoscenze, la loro cultura musicale, gli strumenti, le voci, in un viaggio straordinario in 13 paesi del mondo. Dal Brasile a Capo Verde, passando dal Mediterraneo, toccando il Portogallo, la Spagna, il Marocco, la Grecia, Israele, Italia, Romania, Francia, Croazia e Slovenia.
Suoni nati dalla fusione di esperienze diverse, da ritmi mediterranei e da altri ricercati tra le memorie. Forte di un’esperienza quinquennale al Festival Sete Sois Sete Luas (Festival internazionale che ha avuto come promotore culturale anche lo scrittore portoghese Josè Saramago e per l’Italia, il premio Nobel Dario Fo), Mario Incudine è riuscito a coinvolgere in questo viaggio musicale, in tutta Europa, un coro di voci bianche, il Coro Hator, proveniente dal I Circolo di Vittoria e diretto da Cinzia Spina, coro che lo ha accompagnato anche durante quest’ultimo concerto a Marina di Ragusa.

Sonorità vocali labili ma dolcemente coinvolgenti: quanta emozione dà un coro di voci bambine ad un gruppo maschio, siciliano e fortemente carico di passione come il vostro?
I bambini sono la voce del mondo intero. Sono il sorriso e la lacrima, la dolcezza ed il broncio, la vitalità e la nanna. Sono un turbine di emozioni che non lascia spazio a niente e nessuno… I bambini del coro Hator cantano le mie canzoni, e le cantano in Siciliano (anche se non e’ corretto, scrivilo maiuscolo, per favore, perché per me essere SICILIANO è un dogma, non un aggettivo!): la difficoltà nell’esecuzione, ma soprattutto la pazienza che hanno nell’imparare una lingua nuova, come il dialetto, li rende straordinari. E portare il Siciliano nei concerti di tutta Europa, con la voce tenera di questo coro, mi rende ancora più orgoglioso di essere un uomo di questa terra! Loro sono il futuro e affidare alle loro voci questa lingua significa un passaggio di testimone importante tra generazioni e riannodare il filo della memoria che con loro si fa ancora una volta viva e vibrante.

Mario si emoziona non poco al ricordo di come 50 bambini lo abbracciano con un coro all’unisono, ma ad un tratto i suoi occhi verdi si distraggono mentre mi racconta degli ultimi palcoscenici e si illuminano ancora di più, quando da lontano riconosce i passi stentati della sua piccola Iole: si alza, mi schiaccia l’occhio, e con la mano che ha percorso chilometri di corde di chitarra, prende dolcemente quella di sua figlia. E l’uomo, il siciliano che ha saputo mettere su un pentagramma il suono del pianto, delle grida di felicità, del dolore e della speranza, dell’amore e della morte; l’uomo che ha cantato, come un viandante tra le strade ciottolose di un paese sperduto di Sicilia, tutti i sentimenti del mondo, mi lascia lì, al tavolino di un bar, con quel che resta della sua limonata!