Cade col motorino per colpa di una buca, ma il Tribunale le nega il risarcimento

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Chiede un risarcimento danni al Comune per 250mila euro, ma viene condannata a pagare 7mila euro di spese processuali. È quanto accaduto a una ragazza residente a Ragusa, che nel 2010 ebbe un incidente stradale in via Fieramosca. Era in sella a un motorino quando, per una buca o un tombino non ben sistemato, perse il controllo del mezzo, riportando seri traumi fisici. Da lì la decisione di una causa nei confronti del Comune con la richiesta del maxi risarcimento. Il giudice del Tribunale di Ragusa, però, di recente ha emesso una sentenza in cui “assolve” Palazzo dell’Aquila, difeso dall’avvocato Sergio Boncoraglio, e impone alla ragazza e alla compagnia di pagare settemila euro di spese processuali.
Le motivazioni sono chiarite dal magistrato nella sentenza e ricordano come non basta che vi sia una buca nel manto stradale per chiedere un risarcimento al Comune. È necessario che ricorra la fattispecie di “insidia o trabocchetto”. Ma quel tombino non era invisibile o imprevedibile. Il giudice osserva che l’incidente dipese dal fatto che da un lato la velocità non era adeguata alle condizioni della strada e “soprattutto dalle condizioni psicofisiche della conducente la quale, sottoposta alle analisi di routine in Ospedale, venne riscontrata in stato di ebbrezza e per questo sanzionata”.
Al di là di questo ultimo aspetto, tuttavia, rimane fondamentale quanto stabilito dal codice civile relativamente proprio alla possibilità di richiedere un risarcimento. Le richieste di risarcimento danni avanzate da cittadini contro il Comune sono sempre in numero consistente. Una buca in strada, un marciapiede sconnesso, una scalinata sdrucciolevole sono il presupposto per un’azione risarcitoria contro l’ente comunale. Se in tanti hanno diritto a ottenere un ristoro economico per i danni subiti, altri ricorrono a questa richiesta senza che ve ne siano i presupposti. E finisce “male”, perchè in alcuni casi oltre a perdere la causa e a non ottenere nulla si è costretti anche a pagare le spese processuali. Come in questo caso. Altri casi analoghi qualche anno fa. Una sinora era caduta in un marciapiede a suo dire sconnesso. Chiedeva ottomila euro di danni. Il giudice ha detto “no”, in quanto i testimoni non hanno visto l’attimo della caduta, ma anche perchè la ragazza lavorava in zona e, quindi, conosceva bene quella strada. È passato il criterio secondo cui non sempre il Comune paga se una strada o un marciapiede non è perfettamente integro: la signora avrebbe potuto prestare la dovuta attenzione evitando di cadere. Un secondo caso. Una signora era scivolata in corso Italia, chiedeva 4.800 euro di risarcimento. Anche in questo caso il Tribunale non lo ha concesso. Il Comune ha sostenuto che centinaia di persone passano da quel tratto e nessuno ha mai segnalato nulla. Negli anni l’orientamento della giurisprudenza su questi casi, è cambiato. Una volta l’onere della prova era a carico del danneggiato, ossia chi subiva il danno doveva provare che quel pericolo era occulto ed imprevedibile. In seguito c’è stata una lettura più “severa” per gli enti pubblici. La lettura data nelle due sentenze citate, propende per la tesi secondo cui può esserci un marciapiede o una strada non perfettamente efficienti, ma occorre anche valutare la condotta dell’utente. Dinanzi al Tribunale il Comune ottiene ragione un po’ più spesso, mentre il giudice di Pace propende quasi sempre per la condanna dell’ente pubblico.