Rinviato al 18 novembre lo sfratto. I Guarascio: “Giustizia solo promessa”

1
Caso Guarascio, la casa acquistata dai 5 stelle

Un incubo che va avanti dal maggio 2013 e che la famiglia Guarascio rivive ogni volta che lo spettro dell’ufficiale giudiziario si avvicina alla loro unica casa di via Brescia, quella casa costruita mattone dopo mattone da Giovanni Guarascio, finita all’asta, svenduta per poche migliaia di euro e per la quale ha finito per dare la vita. Per quella casa ora stanno lottando strenuamente la vedova, nonostante le ferite fisiche e quelle dell’anima, e i tre figli: Claudia, Antonio e Martina.

Questa mattina l’ennesima battaglia di una guerra che sembra non avere fine, con possibili risvolti penali, anche se l’indagine della Procura non si è ancora conclusa. Potrebbe essere presa a breve la decisione da parte del Procuratore capo Carmelo Petralia sull’indagine su presunte illegittimità nella vendita dell’edificio.

 

In tarda mattinata è arrivata la notizia: il provvedimento di sfratto è stato rinviato al 18 novembre.  A confermarlo l’avvocato Aurora di Mattea che sta seguendo la famiglia Guarascio. 

La giustizia ce l’hanno solo promessa – dice Antonio – ma ancora non abbiamo visto nulla”.

Siamo stati completamente abbandonati dalle Istituzioni – continua Martina – e ci stiamo logorando con l’ansia e la paura. Abbiamo perso nostro padre e adesso rischiamo, per l’ennesima volta, di perdere anche la nostra unica casa. Ogni giorno tutto ci parla di papà, soprattutto qua dentro, e se saremo costretti ad uscire e a chiuderci la porta della nostra abitazione alle spalle non avremo perso solo noi ma lo Stato tutto”.

Al loro fianco, questa mattina, l’avv. Aurora Di Matteo, il Comitato contro le aste giudiziarie, padre Giovanni Giaquinta della chiesa del SS. Rosario, tanti cittadini ai quali la famiglia si è pubblicamente appellata e l’amico sacerdote di sempre, quello che sin dall’inizio, seppur distante, non ha mai fatto mancare alla famiglia il proprio sostegno incondizionato. Don Vincenzo Sanzone è giunto appositamente da Castellammare di Stabia e le sue sono parole di conforto per la famiglia, ma dure per la società: “Sono sacerdote da 50 anni – ha detto – e la mia missione è aiutare i più deboli. Se tutto questo fosse capitato nella mia parrocchia, Giovanni sarebbe ancora vivo. Possibile che nessuno abbia bussato alla loro porta per dare una mano? Per me è strano! Nella mia parrocchia l’uomo viene prima di tutto, è al centro di tutto, anche se non praticante”.