Io c’ero! Le lunghe attese al Pronto Soccorso di Ragusa

3399

Chi guida l’Azienda sanitaria di Ragusa ha mai trascorso, proprio per avere una visione di insieme, una domenica d’estate al Pronto Soccorso del Giovanni Paolo II?

Io, che non ho questo ruolo, l’ho dovuto fare per un problema di salute che ha riguardato mia madre, che vi assicuro oggi sta bene!

Non entro nel merito dell’aspetto sanitario, in quanto non ho competenza per poter parlare e non giudico certamente le cure che sono state prestate a fronte di un codice verde che è stato rilasciato dall’accettazione.

Ciò su cui mi preme porre l’attenzione è il modus operandi, questo perché l’ho visto con i miei occhi e vissuto molto, ma molto a lungo.
Non riporto lo stato di malessere lamentato o la patologia riscontrata in quanto non pertinenti, ho indicato solo il codice verde per dare un senso della ‘gravità’, non era un codice rosso, per fortuna, né un codice giallo o bianco.

La presenza dei miei genitori al pronto soccorso di Ragusa è iniziata intorno all’ora di pranzo di una calda domenica di giugno ed è terminata l’indomani mattina con le dimissioni.
In questo lungo lasso di tempo, all’interno di un pronto soccorso con persone che stavano male e congiunti preoccupati, di ogni età da bimbi piccoli a persone anziane, la maggior parte delle ore è trascorsa in sala di attesa.

Dagli esami immediati per scongiurare patologie gravissime alla terapia farmacologica per intervenire nell’alleviare il malessere di mia madre, non so più quante ore siano trascorse, per me in modo inspiegabile.
Comprendo perfettamente che non si era in codice rosso, ma nei fatti nelle ore che io sono stata lì a cercare di capire, non ho ravvisato l’ingresso di ambulanze per emergenze. Ma, come ho anticipato, io non ho pertinenza in materia e non escludo ci siano state altre emergenze o casi certamente più gravi.
Ma ciò che mi ha lasciata perplessa e che mi ha indotto a scrivere questo articolo, è proprio il modus operandi adottato. Perché dal momento in cui si è esclusa una determinata patologia cardiaca e si è individuata la terapia a cui sottoporre la paziente, con in mezzo scrupolose analisi e verifiche fatte, è passato un periodo così lungo?

Sto parlando di una donna settantenne, preoccupata, dolorante, con febbre, con palpitazioni irregolari costretta a stare seduta su una sedia di plastica in un pronto soccorso gremito di altre persone con altre patologie.

Perché quando è stata somministrata la terapia farmacologica, già a sera inoltrata (rispetto l’ingresso avvenuto all’ora di pranzo) e il medico di guardia, a cui sono state passate le consegne dal turno precedente, ha deciso di tenere sotto osservazione medica mia madre con un ricovero in astanteria, le si è prospettato di passare la notte su una barella (e non su un letto), in una stanza ovviamente mista, senza che nel corso di questa nottata le sia stata somministrata alcuna altra terapia?

Perché gli eventuali ricoveri per tenere, giustamente, sotto osservazione i pazienti non vengono compiuti nei reparti dell’ospedale (anche se non pertinenti alla patologia accusata), ma almeno in una situazione più consona e decorosa per il paziente?

Dunque, immaginate mia madre, come sarebbe potuta essere la vostra, in stato febbrile, con una frequenza cardiaca alterata, asmatica, senza cibo, accaldata, preoccupata, a cui le viene detto di rimanere sotto osservazione su una barella di ospedale, sistemata alla meno peggio in una stanza con altri pazienti, indiscriminatamente uomini e donne, per giunta fortunata a non essere stata sistemata, sempre su barella, lungo i corridoi interni dell’astanteria.
Io non l’ho dovuto immaginare, l’ho vissuto e ho provato tanta rabbia!

L’aspetto medico, ripeto, non lo tratto perché ciascuno fa il proprio lavoro e la terapia somministrata ha dato i buoni risultati, tant’è che mia madre all’indomani è stata dimessa e ha proseguito nella terapia data a casa sua.
Ma l’aspetto umano del paziente di cui tantissimo si parla in moltitudini di occasioni a cui io, nello svolgimento della mia attività professionale di giornalista, ho assistito, dove è?

Non entro nel merito se quella domenica ci fosse un numero congruo o meno di medici al pronto soccorso. Non è compito mio giudicare!

Non entro nel merito se il numero degli infermieri e del personale parasanitario fosse congruo o meno. Non è compito mio giudicare!

Non entro nel merito se è congruo o meno entrare e uscire dalla sala del medico diverse volte nel volgere di parecchie ore prima di avere la terapia, probabilmente si fa così. Non è compito mio giudicare!

Di certo posso dire che il personale medico è stato scrupoloso nell’eseguire tutti gli esami necessari. Al pari di come posso affermare che non è possibile non poter neanche prendere una bottiglietta d’acqua (a pagamento si intende) da dare a mia madre, a digiuno e senza bere per ore, perché il dispenser ne è sprovvisto, piuttosto che non è possibile non somministrare alcun pasto a quei pazienti che vengono ricoverati in astanteria, piuttosto che non è possibile attendere lunghissime ore prima di essere ricevuti dal medico.

In quelle interminabili ore, un buon numero di persone, sfiancati dalle lunghissime attese, ha preferito lasciare il pronto soccorso per non continuare nella estenuante attesa.

Io sono sicura che ciò che ho raccontato e vissuto da me in prima persona, non sia un caso isolato, ma si inserisce in un mare magnum di ciò che accade, ma che non si ha modo di segnalare in modo così diretto come sto facendo io, avvalendomi del mio giornale, dunque avendo certamente una posizione privilegiata.

Però, forse, chi guida questa azienda e questo ospedale qualche domenica la dovrebbe trascorrere al pronto soccorso, seduto in sala d’aspetto, proprio per farsi un’idea del protocollo adottato. Se poi è tutto legittimo, mi ritiro in buon ordine, e dico: Viva l’ospedale che i ragusani hanno tanto atteso perché è all’avanguardia sotto tanti punti di vista, ma al pronto soccorso si fa così!

Lungi da me fare di tutta l’erba un fascio, il nostro giornale in tantissime occasioni ha pubblicato notizie di buona sanità affinché si desse il giusto merito a chi le ha rese possibili, ma la paziente in questione è mia madre e io pretendo per lei e per tutte le persone che devono ricorrere al pronto soccorso, in preda a malori e tanta paura, che si dia loro la giusta attenzione sotto tutti i punti di vista, rispettando prima di tutto le persone!