‘Preparare un tempo nuovo’, parte dalle donne il corso di formazione per docenti

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Un dialogo a più voci ha introdotto il corso di formazione ‘Preparare un tempo nuovo’ promosso dalla Fondazione di comunità Val di Noto, insieme all’Istituto di istruzione superiore “Galilei-Campailla” di Modica, per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado e per quanti operano nei campi educativo, civico, sociale e dell’economia civile. Tema del primo incontro, che si è tenuto all’Istituto ‘San Benedetto’ di Modica, una frase di Edith Stein: “L’anelito che le donne ci trasmettono: curare, custodire, proteggere, nutrire e favorire la crescita…”. Seguendo tutte le misure previste per il contenimento del Covid-19, una cinquantina i docenti e gli operatori che hanno partecipato al confronto introdotto da Maurilio Assenza, vice presidente della Fondazione di comunità Val di Noto, il quale ha sottolineato l’importanza di questo percorso in un momento difficile come quello che stiamo vivendo. E poi ha espresso gratitudine per l’Istituto Gestalt: “Un dono per questo nostro territorio: ci ha insegnato quanto è importante le relazione”. Giovanni Salonia, psicologo, psicoterapeuta, direttore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt hcc Kairos (Ragusa, Roma, Venezia) e della Rivista internazionale di Psicoterapia GTK, nel suo intervento ha ricordato come per secoli la donna sia stata “zittita” e “relegata a casa”. E per questo è ora necessario darle “spazio”, ripensando anche “la polis del maschio e della femmina, la città e la casa non solo della donna, ma anche dell’uomo”. Parlare delle donne, ha chiarito lo psicologo, è parlare “del corpo delle donne”, in un periodo in cui il post umano si fa sempre più strada, in una “linea antropologica rischiosa”. Quindi ha aggiunto: “La vera rilettura di quello che è il rapporto maschio- femmina deve ripartire dal corpo. Cosa viene fuori dal mio corpo…. Il pensiero femminile non è fatto a tavolino: per essere genuino deve nascere da un corpo femminile. La nostra cultura, purtroppo, ci ha allontanato dal corpo. Un corpo che, invece, si consuma nel visivo (più bello, meno bello…). Invece, il cammino di una nuova antropologia di cui abbiamo bisogno ci salva: dobbiamo riprendere il proprio corpo e far venire fuori, ascoltare, che cosa il mio corpo mi dice, quali pensieri il mio corpo, nell’essere maschio e nell’essere femmina, introduce”. A seguire la riflessione di Dada Iacono, che si è formata negli ambienti del Movimento di Cooperazione educativa siciliano e nella scuola di Gestalt Therapy dell’hcc, diretta da Giovanni Salonia, e ha al suo attivo una lunga esperienza di insegnamento e di formazione nella scuola dell’infanzia. Ha parlato del movimento delle donne, prima di rispondere al quesito: “Cosa potremmo proporre per un’umanità migliore?”. “Ho pensato – ha detto – al concetto di cura. Dobbiamo riformulare il concetto di cura a partire dall’esserci, dal volere prendersi ‘cura di’. Pensare di ampliare la cura, facendola diventare un atteggiamento corporeo dell’essere con gli altri”. Rosaria Lisi, psicologa e psicoterapeuta, dottoranda in Teologia biblica presso la Facoltà Teologica di Sicilia, ha parlato di isteria, riprendendo alcuni ‘punti’ del suo libro dedicato a questo tema. Ha mostrato come “la sofferenza psichica delle donne ha insegnato qualcosa all’umanità. La donna che esprime la sofferenza dell’anima ha insegnato qualcosa all’uomo e all’umanità”. “La cura – ha concluso – è nella relazione”. Infine Antonio Sichera, insegnante di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Catania ha presentato la figura della filosofa e saggista Maria Zambrano per tirare le conclusioni degli interventi precedenti. “Il pensare – ha detto riprendendo il pensiero della filosofa spagnola – non è anzitutto per l’uomo un’attività: il pensare è patire. Si comincia a pensare non perché siamo noi a dominare il mondo, ma perché sentiamo, patiamo, la vita. Perché le viscere della vita ci toccano, e le viscere della vita sono anche le nostre. Pensare è un atto di suprema passività, siamo pensatori in quanto tutti abbiamo un corpo. L’inizio del pensare non è nell’appropriarci al mondo attraverso il concetto: solo chi si apre alla vita, solo che patisce nel corpo, può pensare davvero. Il pensare al femminile è un pensare che invece di mettere la testa e la mente al centro, pensa col corpo e dal corpo”. E ancora: “C’è un legame profondo tra il pensare e la cura. Bisogna stare dentro la storia. Ci dice Zambrano ci sono due tipi di storia: quella di coloro che dominano, la storia apocrifa, che non è vera storia, e c’è quella degli ultimi, la storia sacra. Queste due storie s’incontrano nella croce, due assi disallineate, tranne che in un punto, in questo punto d’incontro qualcuno si consegna, dà la vita. Lì la storia apocrifa si trasforma in storia sacra. Lì si rivelano le viscere di misericordia, delle donne, delle madri, che compongono la storia”. E ha concluso rifacendosi sempre alla filosofa spagnola: “In maniera umile, non si deve fare la storia, ma quasi sopportarla, essere coloro che portano il mondo… chi sta sotto supporta il mondo, si cura così degli altri”. L’incontro è proseguito poi con un dibattito animato dalle domande dei docenti e degli operatori sociali presenti. Il corso prevede altri tre incontri, fino a dicembre.