Occupazione, in provincia aumentano divari di genere e per titolo di studio

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L’Istat ha presentato i dati sull’occupazione relativi al I trimestre 2023, dando conto di una ripresa post Covid che ha prodotto in Italia, nell’ultimo anno, oltre mezzo milione di posti di lavoro, tutti a tempo indeterminato, con una ripresa anche del lavoro autonomo, mentre il lavoro a termine è diminuito. L’istituto sottolinea che la crescita non è stata di pari intensità per tutti, comportando in alcuni casi una diminuzione e in altri un aumento dei tradizionali divari.

Ad analizzare questi dati, facendo un focus sulla provincia di Ragusa, è l’Unione Sindacale Territoriale della Cisl Ragusa-Siracusa.  “Ci sono alcune specificità – chiarisce la segretaria generale dell’Ust, Vera Carasi – che riguardano il territorio ibleo e che offrono una serie di spunti di riflessione. Infatti, si sono ridotti i divari generazionali e quelli territoriali, mentre sono aumentati quelli di genere e per titolo di studio: l’occupazione femminile è cresciuta, ma meno di quella maschile, ed è aumentata la penalizzazione di chi ha bassi titoli di studio”.

“La lettura del mercato del lavoro della provincia di Ragusa che offrirebbe ai giovani solo contratti precari è pertanto divenuta insufficiente e soprattutto non corrispondente ad una realtà più complessa. Quando si parla di giovani penalizzati si parla soprattutto di quelli con basso titolo di studio: sono questi ad essere destinati alla precarietà se non si accelera, da una parte, sul Programma Gol e sul potenziamento dei centri per l’impiego (Missione 5 del Pnrr), dall’altra sulle azioni dirette a colmare i divari nel campo dell’istruzione (Missione 4 del Pnrr). Certo, l’altro aspetto è legato al fatto che, buona parte di questi giovani, per potere lavorare è costretta a migrare altrove. Ma ci sentiamo di dire che oggi la vera emergenza è divenuta la carenza di competenze, che rischia di creare un bacino sempre più largo di lavoratori con competenze basse e obsolete che li relegheranno alla disoccupazione o a lavori sottopagati o in nero, peraltro con pesanti ricadute in termini di sostenibilità dei sistemi socioassistenziali e di lotta alla povertà”.

“Agire sulla formazione di competenze- conclude Carasi- rappresenta anche una forte spinta al lavoro femminile che è spesso relegato in settori e mansioni a bassa qualità e comunque resta fuori dagli ambiti Stem”.