Il Pride di Marina e l’ondata social di insulti e sberleffi gratuiti

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Domenica scorsa, Marina di Ragusa ha ospitato il consueto appuntamento con il Pride, una manifestazione pacifica, colorata, partecipata. Famiglie, giovani, associazioni, perfino bambini, persone che ogni giorno chiedono solo una cosa: poter essere sé stesse senza dover chiedere il permesso. Hanno sfilato eterosessuali, gay, lesbiche e ogni colore da cui, piaccia o no, è composta la nostra società.

Eppure, come ogni anno, alla bellezza dell’evento ha fatto da contraltare l’ondata di commenti che si è riversata sotto le foto e i video pubblicati sui social. Insulti, scherno, volgarità. Offese gratuite, sberleffi mascherati da “opinioni”, odio travestito da “libertà di parola”, quest’ultima sempre sacrosanta fin quando non sconfina nell’offesa gratuita.

Ci chiediamo: che fastidio dà un corteo di persone che manifestano per i propri diritti? Cosa c’è di scandaloso in un abbraccio, in un bacio, in un cartello che chiede rispetto? Perché l’esistenza altrui scatena in qualcuno la necessità di denigrare, di umiliare, di ridicolizzare?

Questi commenti non sono semplici “sfoghi”. Sono sintomi. Di una cultura che fatica ancora a concepire la diversità come una ricchezza. Di una società che tollera — o peggio, normalizza — l’intolleranza, finché resta confinata dietro uno schermo.

Ma le parole hanno un peso. Possono ferire, escludere, intimidire. E quando diventano il sottofondo costante di ogni iniziativa LGBTQIA+, non stiamo più parlando di opinioni: stiamo parlando di violenza.

A chi ha partecipato al Pride, va il nostro rispetto. A chi ha scritto commenti offensivi, va invece un invito alla riflessione. Nessuno vi sta chiedendo di cambiare le vostre idee. Vi si sta chiedendo solo di non usare il disprezzo come arma.

Perché una società più giusta inizia anche da qui: da come scegliamo di parlare degli altri, anche quando non li capiamo. O, semplicemente, non li vogliamo vedere.