Gallo co cinu a S Giovanni. Gaudenzia Flaccavento: “Ecco perché”

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San Giovanni, non solo festa religiosa ma anche di “tavola”. La tradizione del santo Patrono di Ragusa, infatti, differisce da quella di molte altre città, anche per la preparazione di pietanze che si cucinano sin dalla notte dei tempi.

Su tutte il gallo con il “cino”, ovvero il ripieno di carne macinata: piatto principe del pranzo del 29 agosto, sia a Ragusa città che ormai nelle tantissime abitazioni di villeggiatura dove in molti continuano a soggiornare anche dopo la festa. “Carne una volta se ne mangiava poca – racconta Gaudenzia Flaccavento, esperta di tradizioni popolari -. Le uniche volte che se ne mangiava era il maiale a Natale e l’agnello a Pasqua. E poi ovviamente il pollo a San Giovanni. La festa, infatti, coincideva con la fine dell’attività agricola e i massari regalavano il pollo (le famose “carnagghi”) ai proprietari. Poi c’era anche il biancomangiare come dolce, nelle varie forme, con l’agnello, con la forma di San Giovanni, a forma di pesce”.

Ma differenza sostanziale rispetto alle altre tradizioni culinarie ragusane è quella che a San Giovanni non si inforna. Tutte le pietanze che vengono preparate, infatti, non prevedono l’uso del forno che invece in altre festività dell’anno, come Natale e Pasqua, vengono cotte all’interno dei forni a pietra. “Questo, probabilmente – precisa Gaudenzia Flaccavento – può essere dato dal fatto che per San Giovanni i massari si spostavano in città dove non avevano i forni, che invece avevano nelle case di campagna. E dunque preparavano le pietanze nei tegami, nelle pentole e così via, mancando tra l’altro anche la tradizione della brace”.