
Dopo oltre vent’anni di negoziati e rinvii, l’ONU ha finalmente compiuto un passo destinato a entrare nella storia della diplomazia ambientale. Dal 17 gennaio 2026 entrerà ufficialmente in vigore il Trattato internazionale per la tutela dell’Alto Mare, il primo accordo globale pensato per proteggere quelle vaste acque internazionali che coprono quasi la metà della superficie del pianeta, ma che finora erano rimaste prive di regole vincolanti.
L’intesa, frutto di anni di trattative tra governi, scienziati e organizzazioni ambientaliste, punta a invertire la rotta rispetto a decenni di sfruttamento intensivo: pesca eccessiva, inquinamento, traffico marittimo e cambiamenti climatici hanno infatti messo a dura prova la salute degli ecosistemi oceanici. Oggi solo il 10% degli oceani gode di una reale protezione; il nuovo trattato punta ad arrivare al 30% entro il 2030, trasformando ampie porzioni di mare aperto in aree marine protette dove saranno vietate attività estrattive e pratiche dannose.
La ratifica decisiva è arrivata con la firma di Marocco e Sierra Leone, sessantesimo e sessantunesimo Paese a depositare la propria adesione, accanto a un fronte ampio che comprende Unione Europea, Norvegia, Corea del Sud e Cile. Con questo traguardo, il trattato ha superato la soglia minima per entrare in vigore.
“È un segnale di speranza per gli oceani e per il futuro del pianeta,” hanno commentato le Nazioni Unite, sottolineando come per la prima volta la comunità internazionale abbia concordato regole comuni per custodire il “cuore blu” della Terra.
Un accordo che segna non solo una vittoria diplomatica, ma anche una promessa: quella di restituire al mare aperto la possibilità di rigenerarsi. Una buona notizia che arriva, letteralmente, dal fondo del mare.