Fotografie

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Passano fiumi di parole e frasi quasi già confezionate nelle storie   di un giornalista che esercita da circa 20 anni. Fatti che diventano vecchi dopo 24 ore, notizie che non fanno più notizia dopo 7 giorni. Il tutto sempre sotto la pressante egida dell’immediatezza, magari dello scoop. Non c’è mai molto tempo per fermarsi e scrivere altro. O per dedicare qualche rigo ai luoghi in cui si nasce, si vive, si diventa ciò che si è, volenti o nolenti. Eppure tutti, spesso, rivolgiamo qualche secondo ai nostri luoghi, a quegli angoli che hanno fatto da cornice ad un momento della nostra vita, ad un incontro, ad un’amicizia nata e morta a causa del tempo o dei mutamenti di noi stessi, ad un affetto familiare che è in noi quasi scontatamente. Così, mi è capitato poco tempo fa, di sentire un impellente bisogno di tornare in un luogo del mio paese. È stato sempre lì, ci sarò passata milioni di volte negli anni ma senza mai farci particolarmente caso. Ma quella volta ci sono andata di proposito. Ferma all’angolo a guardare il tutto quasi immutato negli anni, improvvisamente mi torna alla mente un signore su di una moto rossa, con un giaccone nero, forse di pelle, che ogni giorno suonava al campanello di quella casa. Nella strada odore di pane appena fatto, ancora caldo, che entrava nelle case perché il lieve vento caldo lo diffondeva nell’aria. Nel balcone una bambinetta con tanti riccioli neri in testa e due gambette più magre delle canne di bambù. Accanto a lei una donna anziana con i capelli ormai canuti raccolti in un “tuppo” immutato nel tempo. Un abito nero a pois bianchi che le arrivava sotto il ginocchio. Alla radio il fischiettio indimenticabile del “Gazzettino di Sicilia” che svegliava il quartiere. Il signore con il giaccone nero lasciava il pane in un cestinetto calato dal balcone. Sono risalita in macchina e sono andata via, a fare le tante cose frenetiche che si fanno durante la giornata, nella speranza di risentire quegli odori. Ma non ci sono più. Non c’è nemmeno il “Gazzettino di Sicilia”. E neanche la signora Sara, con il “tuppo” canuto. La bambinetta invece ogni tanto torna lì, in quello spazio e in quel tempo al cui richiamo è difficile sottrarsi, dove ricordi restano sempre come sospesi, senza mai sbiadire come invece sbiadiscono le fotografie…(A mia nonna Sara).