Coming soon a Ragusa: “Io sono io, tu sei tu”. Il film che annulla distanze e pregiudizi

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Io sono io e tu sei tu”, dice il piccolo Saif al suo giovane amico italiano, quando viene il momento di lasciarsi perché per uno dei due è venuto finalmente il tempo di partire. “Io sono io e tu sei tu”, gli risponde, quando l’altro gli esprime il desiderio di essere uguale a lui.

È con questa formula di accoglienza al rovescio, una battuta per spiegare che la vera integrazione è l’arricchimento nella diversità, che la regista ragusana Tiziana Bosco  ha provato a raccontare cominciando da cos’è il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Mineo. Il Cara, come tutti abbiamo imparato a conoscerlo leggendo i giornali.

Io sono io e tu sei tu è un film per metà documentario e per metà fiction: la storia di ciò che succede ogni giorno si intreccia con ciò che potrebbe o dovrebbe accadere, nella mente e nei cuori delle persone. Da un lato ci sono le testimonianze, schiette e spesso sofferte, degli operatori e degli ospiti del Cara. Dall’altro ci sono quei due bambini e la loro amicizia: uno è italiano, ha da poco subìto il trauma della morte della madre e segue il padre giornalista, che viene costretto a fare controvoglia un reportage sul Cara e si porta dietro un carico di negatività e pregiudizi, l’altro è figlio di due immigrati in attesa da mesi di vedersi riconosciuti lo status di rifugiati.

E Tiziana Bosco, che nei mesi scorsi abbiamo incontrato a Mineo per un’intervista pubblicata su Freetime Sicilia, racconterà tutto questo il prossimo 15 novembre alle 17.30 nell’auditorium “G.Cartia” della Camera di Commercio di Ragusa, aprendo con il suo documentario il ciclo di iniziative che si intendono promuovere nella città di Ragusa in tema di immigrazione, su iniziativa della Fondazione Integra.  “Si tratta di un primo saliente momento di conoscenza e incontro” ha spiegato il presidente Salvo Calì: “nel corso del quale intendiamo dare spazio ad una produzione che ha già al proprio attivo importanti proiezioni, fra tutte lo scorso anno, alla Camera dei Deputati. Lo scorso anno il docufilm e altre iniziative collaterali, tra cui anche la “Partita dell’Accoglienza” (che si è svolta pure il 3 ottobre 2014), hanno posto l’attenzione su questo fenomeno nella città di Catania, con il coinvolgimento, di istituzioni, scuole, associazioni e cittadini. Lo stesso percorso virtuoso di conoscenza, la Fondazione Integra, lo vuole attuare a Ragusa partendo proprio dalla proiezione del docufilm, a cui seguiranno altre iniziative nel mese di dicembre”.
L’iniziativa, resa possibile anche grazie al patrocinio avuto dal Comune di Ragusa – Assessorato alla Cultura – e dalla Camera di Commercio, ha l’obiettivo di aprire un fronte di confronto rispetto una tematica che la provincia iblea vive in prima persona, rispetto il fitto e costante processo di immigrazione che si registra sulle coste.

Senza cadere nel rischio di una sin troppo facile retorica, Tiziana Bosco è riuscita con questo lavoro a restituire, all’esterno del Cara, la verità sul Cara: una verità che troppo spesso finisce inghiottita dalle tensioni e dalle polemiche. Le tensioni che gli ospiti stessi spesso determinano, esasperati dall’attesa dei mesi, in alcuni casi degli anni che trascorrono prima di ricevere una risposta dallo Stato italiano. E le polemiche sull’affollamento e la gestione della struttura, che alcuni sono arrivati a definire una “prigione d’oro” e altri invece si sforzano di dimostrare inadeguata all’accoglienza. Quella verità è probabilmente più semplice: e cioè che qui, in questo “giardino degli aranci” che fu residence confortevole per gli americani di Sigonella, si cerca di affrontare ogni giorno e nel migliore dei modi possibili la grande fatica di gestire la presenza di 3 o 4 mila persone, che convivono fino a 9 o 10 in ognuna delle villette a due piani che sono diventate la loro prima casa italiana.

Naturalmente questo lavoro ha necessitato anche – innanzitutto – di un approccio artistico, la scelta di un punto di vista e di un linguaggio. “Abbiamo voluto appositamente utilizzare due macchine diverse” spiega Tiziana Bosco. “Una per la parte di fiction e una per il documentario. La fotografia della parte di fiction l’ha curata Daniele Ciprì, che io avevo avuto occasione di conoscere in passato: gli è piaciuta molto l’idea e ha partecipato con entusiasmo, rinunciando anche ad altre cose importanti. Abbiamo coinvolto due attori come Marcello Mazzarella e Luigi Burruano, due professionisti e due persone molto serie dal punto di vista anche umano. In questa parte abbiamo voluto appositamente marcare l’aspetto della finzione, con immagini estremamente pulite rispetto a quelle del documentario, lasciate volutamente sporche. Nella fiction emergono, ad esempio, i colori delle etnie, legati alle loro usanze: c’è la scena di una festa con i loro costumi e la cosa bellissima è stata che due degli ospiti ci hanno aiutato rispettivamente con i costumi e con le musiche. Diversamente, la parte del documentario è stata girata in location significative per il Cara, come la mensa, la scuola, la ludoteca”.

Grazie anche alla collaborazione con il direttore del Centro, Sebastiano Maccarrone, è stato possibile tirar fuori un vero e proprio racconto della vita all’interno di questo piccolo mondo, che fa quasi gli stessi abitanti della città di Mineo. Naturalmente ciò che emerge alla fine non è tutto rose e fiori, anzi: “Il vero dato negativo che viene fuori dalle testimonianze”, conferma Tiziana: “ma che certo non dipende dal Cara, è la lunga, lunghissima attesa a cui sono costretti per ottenere i documenti. Probabilmente non sanno cosa li aspetta, una volta fuori da qui. Alcuni hanno parenti in Italia o in altri paesi europei e allora vogliono raggiungerli. Ma molti altri non hanno alcun punto di riferimento e non sapranno cosa fare. L’aspettativa con cui arrivano è innanzitutto quella di salvarsi la vita, poi cercano un lavoro, vogliono ricominciare. Chi arriva qui insieme alla propria famiglia vuole metterla al sicuro, vivere normalmente, cosa che purtroppo non sempre poi succede”.

“Ma la verità” conclude Tiziana Bosco: “è che spesso chi arriva qui da immigrato ha letteralmente perso la propria dignità. Può capitare, a chi arriva, di trovarsi in contesti che gliela fanno perdere definitivamente. Oppure può capitare loro di arrivare qui, dove almeno possono ricominciare a fare una vita normale e, soprattutto, tornare a sentirsi considerati appieno come esseri umani”.