Sicilia bedda, tra Svimez e Svitol

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tazzina

Non so voi, ma io mi sono fatto il fegato amaro a leggere i dati Svimez sul Mezzogiorno e la Sicilia (tradotti all’osso: siamo messi peggio della Grecia, in termini di ricchezza prodotta, posti di lavoro e debiti. Non contento, però, ho voluto esagerare, leggendo il commento a margine (quasi) sempre sagace di Gramellini. Che stavolta (qui), credo, ha lasciato fuori margine un po’ di leggerezza e qualche elementare elemento. Per come l’ho conosciuto io, al sud…

Al Sud (vabbè, dai, in questa parte di Sicilia), col cavolo che non si lavora. Anzi. Ci si alza all’alba e dopo la benedetta granita con la brioscia, ci si mette sotto. E di gran lena, prima che il sole cominci a martellare come un forsennato. Si lavora, si suda, si fa e si disfa. Solo che… non lo si dice (o meglio, non lo si “dichiara”). Per rispetto, per pudicizia, per discrezione, perché pari bruttu vantarsi in giro di una cosa così personale e di famiglia (mica come al Nord che stipendi, posti e promozioni si festeggiano a bottiglie di champagne…).

Al Sud il caffè non serve sia sospeso, perché ti viene offerto, sempre e comunque, anche quando non è il caso (e anche quando non lo vuoi), e nel locale sei entrato solo per comprare un gelato al tuo bimbo. (Tanto che prima di entrare al bar, se sei del nord, ti conviene dare uno sguardo all’interno, per vedere che ai tavolini o al bancone non ci siano persone che conosci o ti conoscono). Ah, poi il bicchiere d’acqua – naturale o con le bollicine che sia – al Sud non si paga mai (neanche se chiedi il bis).

Al Sud una partita di calcetto si organizza in due ore, perché tutti dicono subito sì e al campo si arriva con un buon quarto d’ora di ritardo, tutti insieme: ci si conta e se si è in quattordici non c’è problema: o si gioca sette o si fanno i cambi volanti. E un’ora di gioco sull’erbetta una volta sintetica – con le pettorine fluorescenti, il pallone da Serie A e la successiva doccia – costa solo 5 euro, al Sud.

Al Sud (vabbè, dai, in  questa parte di Sicilia), a proposito, è pieno di numeri 10… E mica solo al campetto: li trovi dappertutto, i campioni. Geniali, creativi, titolatissimi, con qualità e bellezza innate e classe cristallina. Altro che arretratezza… Il problema vero è come fare, al Sud, a metter su una squadra con tutti ‘sti fuoriclasse, per altro non poco “veneziani”, che non solo non si passano la palla e giocano da soli, ma manco si considerano l’un con l’altro.

Al Sud, quando si incontra qualche conoscente per strada, a piedi o in macchina che sia, ci si ferma, ci si saluta e ci si parla (chiedendosi l’un l’altro – e la dinamica può anche durare 10 minuti abbondanti – comu finiu con la salute, in famiglia, con la suocera e la zia, al lavoro, con la casa di campagna, con l’amico che si è messo in politica… E sono domande interessate, autentiche, mica come al Nord dove se uno ti chiede “come stai”, lo butta lì tanto per e neanche sta a sentire la tua risposta). E intanto, il traffico? Può aspettare: e dove minchia deve andare così di corsa, tutta ‘sta gente. E poi vuoi mettere il valore di un abbraccio rispetto a un semplice cenno del capo (quello lo si riserva ai soci, agli intimi, ai parenti perché una taliata e menza parola, qui a Sud,  valgono più di una prolusione universitaria).

Al Sud mica c’è bisogno di tirarsela, facendo la spesa nelle “boutique” alimentari bio. Ogni casa, ogni villa (solo ville e masserie qui, le villette fanno troppo Brianza), che si dica tale, ha un giardino e l’orto davanti alla veranda – stracarico di pomodori, fagiolini, melanzane, cipolle, carciuofili, zucche e zucchine… – ed è naturalmente attorniata da alberi di ulivo e carrubi. E quando i bambini, traviati da quella scatola a colori che gracchia in salotto, chiedono per merenda un ovetto Kinder, le mamme prima vanno in escandescenze, poi però mollano tutto e si mettono a impastare per u picciriddu, ghioia, specciu ro ma cori, una scaccetta cipolla e pomodoro.

Al Sud (vabbè, dai, in Sicilia), l’organo sessuale maschile è sempre declinato al femminile e l’organo sessuale femminile è sempre citato (ma meno volte e con più rispetto) al maschile. Sarà che quest’Isola è femmina, dentro, nell’anima. Una femmina bedda, truoppu bedda, proprio perché senza briglie, imbizzarrita e indomabile, irriverente e irripetibile. Di quelle che ai masculi ci fanno sangue. Di quelle che in 1000 e più anni (portati da Dio, per altro) hanno cercato di farsela tutti, ma lei… niente… se ne sta ancora adagiata sul Mediterraneo, altezzosa e algida, vantandosi di aver fatto innamorare chiunque, di averla data a pochi e di non essersi mai veramente concessa a nuddu.

Questo per dire (ma ce ne sarebbe da dire…) che ci vorrebbe altro che le puntuali analisi dello Svimez (e altro che un’abbondante acquazzone di Svitol) per scardinare certe incrostazioni (di potere) e certi attaccamenti (di cuore) che questa terra origina e partorisce, quotidianamente. E ci vorrebbe ben altro che i cinque anni di Cura Choc proposta da Gramellini, per rimettere in pari quest’Isola. Che è appunto un’Isola. Dove le tante eccellenze, solitarie, e la moltitudine di inettitudini vivono, in diabolica e affascinante commistione, semplicemente come da sempre vivono gli isolani: da isolati (cioè, a loro insaputa e loro malgrado, secondo altri stili e altri standard, per cui PIL, crescita e performance possono anche valere meno di un tuffo ammare).