OMOFOBIA VELATA

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omofobia velata

IL CHIARO

Il termine omofobia (dal greco όμός = stesso e φόβος = timore, paura) significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”. 

Il termine però, più specificamente, si usa per indicare l’avversione e l’intolleranza verso uomini e donne omosessuali, bisessuali, transessuali, intersessuali.

L’omofobia deriva dall’idea che solo l’eterosessualità sia “normale” e “sana” (eterosessismo) ed è basata, quindi, su false credenze, per esempio, sull’idea che l’omosessualità sia contro natura, sulla convinzione che ogni diversità sia portatrice di “pericolo” o sulla credenza che le convenzioni sociali dominanti siano l’unica via possibile da percorrere.

Insomma, il passaggio che conduce dalle idee generalizzate all’atto è veloce e presto spiegato:

– dagli stereotipi (opinioni precostituite, non basate sull’esperienza diretta ed irrazionali su un gruppo di persone),

– ai pregiudizi (giudizi formulati a priori dall’esperienza diretta, che danno luogo a una percezione generalizzata, semplificata e distorta su una o più specifiche persone considerate appartenenti a un determinato gruppo sociale),

– ai comportamenti discriminatori (tendenza ad applicare condizioni diverse, solitamente peggiori, nei confronti di una o più persone per il semplice fatto che appartengono a una particolare categoria).

L’avversione può, quindi, manifestarsi in modi molto diversi tra loro, ma le forme con cui l’opinione comune identifica l’omofobia, sono soprattutto alcuni comportamenti eclatanti e manifesti, come le aggressioni fisiche o gli atti di bullismo omofobico che, talvolta, passano alle cronache perché parecchio feroci o per il loro esito nefasto: qualche volta, infatti, conducono addirittura al suicidio di giovani che sono bersaglio di tali atti ingiustificati. 

LO SCURO

Ciò che passa un po’ più inosservato all’interno di un fenomeno così ampio come quello dell’omofobia, è, tuttavia, tutto ciò che rientra nell’ambito del “subdolo”, del “velato”, del “nascosto”…

L’omofobia, infatti, non è rappresentata solamente da gesti eclatanti e manifesti di violenza, ma può celarsi, seppur involontariamente, anche dietro atti quotidiani apparentemente banali

Questo meccanismo è molto più consueto e frequente di quanto non si pensi, per esempio, nella tendenza a raccontare barzellette superficialmente innocue, oppure nel deridere qualcuno chiamandolo, anche solo per scherzo, “femminuccia”, frocio”, “ricchione”, ovviamente in accezione negativa…

E non importano poi le effettive preferenze sessuali o gli atteggiamenti manifestati da chi è oggetto di scherno: ciò che importa veramente è, piuttosto, quante persone quella frase o espressione può andare a “toccare” a catena, più o meno indirettamente.

Queste sono solo alcune delle forme subdole di omofobia che vengono talvolta quasi giustificate dalla società, ma che possono ferire ancora più dei coltelli e, a questo punto, alzi la mano chi ritiene di non avere mai anche soltanto sorriso ad una battutina di tale tipo.

Accanto a queste forme di omofobia, più o meno velata, c’è anche il sentirsi a disagio quando ci si trova accanto a persone LGBTI o anche solo il sentirsi indignati o disgustati sempre per un’idea preconcetta e strettamente legata al contesto sociale in cui si è cresciuti e vissuti.

Fenomeno apparentemente più inspiegabile si osserva quando le stesse persone omosessuali/bisessuali/transessuali/intersessuali tendono a manifestare quei medesimi comportamenti omofobici o a nascondere ad ogni costo i propri affari di cuore per vergogna o timore di non essere riconosciuti o accettati: anche qui la causa è da andare ricercare in quelle credenze negative così diffuse nella nostra società.

Si pensi, poi, a quante volte proprio la cosiddetta “omofobia interiorizzata” (così viene chiamata quest’ultima) possa portare a “scelte forzate”: matrimoni eterosessuali che alimentano malessere, scelte di dedicare la propria vita ad un ordine religioso senza una vera e propria consapevolezza in merito alla propria decisione, ecc. Il tutto ingenera inutile sofferenza, mascherata da una più accettabile parvenza in virtù di un’appartenenza sociale.

Molto spesso chi è più aperto al dialogo ed allo scambio chiede cosa si possa fare nel proprio piccolo o fa semplicemente spallucce, immaginando che per cambiare il modo di pensare di un’intera società sia necessaria un’azione eclatante, magari di un personaggio famoso.
Ok, benvenga il gesto “rumoroso”, benvengano gli eventi a tema, ma i cambiamenti possono provenire anche attraverso piccoli gesti (si dice che il minimo battito d’ali sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, no?): l’
evitare sorrisetti maliziosi, il prestare più attenzione alle parole utilizzate nel proprio linguaggio quotidiano, l’aprire le proprie menti verso l’altro, il tutto da compiere, ovviamente, in modo critico e desiderosi di incrementare le proprie conoscenze, piuttosto che adagiandosi o accettando acriticamente quanto viene propinato dagli altri.

Insomma, anche tutti questi possono essere piccoli passi, molto più incisivi di quanto si pensi, nel combattere preconcetti e pregiudizi vari!