Il presepe alla ‘Casa don Puglisi’, quando il dono si trasforma in gioia

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Foto di Marcello Bocchieri
Foto di Marcello Bocchieri

Oltre 2.500 bambini coinvolti, più di 4.000 visite. In più di tre mesi di attività (tra laboratori, realizzazione del manufatto), migliaia di persone hanno potuto vivere l’esperienza del presepe della città alla ‘Casa don Puglisi’ curato in particolar modo da Salvatore Spadola, Giulia Denaro e Adriano Colombo. «Al di là dei ‘numeri’ – spiega Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana di Noto – il presepe è stato l’occasione per riscoprire come il dono dà gioia. I bambini per primi hanno colto la bellezza dell’evento e della ‘Casa’ che l’ha ospitato, tanto da dire spesso: “Ci piacerebbe abitare qui…”. Ancor più profondamente bambini e famiglie hanno percepito la bellezza di relazioni aperte, e ci si è detti più volte che l’obiettivo che rende vera una città è che, accanto a chi è ferito nella vita, ci sia sempre qualcuno accanto, possibilmente una rete di famiglie potendo la famiglia esprimere meglio l’abbraccio della vita. Per questo sono necessari racconto e decisione. Il racconto s’intesseva e continuerà a intrecciare la bellissima fiaba dei fratelli Grimm ‘Pioggia di stelle’ e la vita di una ‘Casa speciale’, che conosce i drammi della vita, ma li attraversa con la misura pigiata e traboccante della misericordia. La decisione spetta a ciascuno, ognuno può fare qualcosa e migliorare il mondo con i fatti, iniziando da impegni piccoli, ma costanti di volontariato alla ‘Casa’ come al cantiere educativo ‘Crisci ranni’. Ma l’evento è anche ricco di significati».

Il presepe si è chiuso ieri sera (ma poi sarà ripristinato in altri ambienti della stessa ‘Casa’) con un incontro di ‘lettura’ della fiaba e dei suoi significati mitologici e cristologici, con un intervento del prof. Antonio Sichera, docente di letteratura all’Università di Catania. Una riflessione appassionata e ricca di ‘intuizioni’, una rilettura della fiaba dei fratelli Grimm nel segno di una ‘nascita’ e una ‘rinascita’, un Natale e una morte e Risurrezione. La piccola protagonista della fiaba come ‘figura’ del figlio di Dio che, «nella logica dell’Incarnazione si è svuotato, si è spogliato di tutto per venire incontro all’uomo nella sua condizione concreta, nella vita quotidiana. Un cammino che lo conduce ad accompagnarci fino al buio in cui a volte abitiamo». Una storia di profonda attualità, con un ‘particolare’ essenziale, messo in luce dal prof. Sichera: nella storia, la ‘fanciulla divina’ (così nel mito vengono chiamati gli orfani) è una donna: «Il volto dell’amore benedicente, donato, è femminile: il femminile vuol dire accoglienza». In contrapposizione al «nostro mondo del maschile inteso come sopraffazione, rottura, costruzione di muri», questa storia «ci consegna il volto di una bambina, un femminile vissuto fino in fondo. Non ovviamente come questione di genere, ma di cuore».

È poi toccato a Enrica Ficili, educatrice della ‘Casa’, tirare le somme di questa esperienza: per il secondo anno, infatti, c’è stato questo incontro tra la città e la ‘Casa don Puglisi’. «Sono tante le cose che ci portiamo: la presenza festosa di questi bimbi, il loro entusiasmo quando riconoscevano la casetta, la commozione negli occhi di genitori, insegnanti e parenti. Siamo riconoscenti nei confronti delle nostre mamme e non mamme della ‘Casa’: si sono fidate di noi, noi siamo orgogliosi di loro. È stato emozionante vederle accogliere la città: abbiamo avuto la possibilità di fare entrare il mondo nelle loro vite e nelle loro storie, con la magia dell’incontro. Non una folla anonima, ma volti ben precisi, in un percorso di amicizia e fraternità».