Quarant’anni dopo Comiso: lo spettro della guerra c’è ancora, i pacifisti non più

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Foto di Andrea Samaritani

«Tra settembre 1981 e aprile 1982, milioni di uomini e donne protestarono in tutta Europa, chiedendo il disarmo e la pace. I numeri danno la dimensione della protesta: 27 settembre alla marcia Perugia-Assisi in 50.000, il 10 ottobre a Bonn in 300.000, a Comiso, l’11 ottobre, in 35.000. A Londra 250.000 persone, mezzo milione ad Atene, 400.000 ad Amsterdam, 300.000 a Milano il 17 aprile del 198227. In quell’anno iniziarono i lavori per la costruzione della base Nato, che erano stati preceduti dall’abbattimento dei vecchi edifici del ‘Magliocco’, danneggiati irrimediabilmente dai bombardamenti del giugno-luglio del 1943. Sottraendo oltre 160 ettari alle attività agricole, la nuova base missilistica fu realizzata con un enorme impegno economico: non meno di ottanta miliardi di lire. Una grossa fetta degli appalti la ottenne la ‘Pizzarotti’ di Parma. L’incarico alla ditta parmense, per poco meno di quaranta miliardi di lire, riguardò la costruzione delle super moderne villette che avrebbero ospitato i militari. Quasi per ironia della ‘sorte’, nel covo dell’atomica si produceva energia pulita e rinnovabile con pannelli solari sui tetti delle villette americane. I primi ‘pezzi’ dei Cruise arrivarono nella base nella notte del 14 dicembre 1983. Ma si trattava di quattro ‘Tel’, i mezzi semoventi che servivano per trasportare e lanciare i missili nucleari di cui sarebbero stati dotati. La piena operatività dei primi sedici Cruise, già installati nella base di Comiso, fu confermata dal ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, a metà marzo del 1984 […]

Tra l’agosto del 1981 e la primavera dell’anno seguente, insieme al sorgere di comitati per la pace, la lotta a Comiso si espresse in particolar modo nelle marce: 11 ottobre 1981 e 4 aprile 1982. Nelle aspettative dei partecipanti, si attendevano 10.000 persone. Quell’11 ottobre del 1981, invece, nella cittadina casmenea le presenze furono 30-35.000. «Erano tanti i giovani, la stragrande maggioranza. E comunque sembravano tutti tali, compresi gli anziani o gli handicappati che avevano voluto seguire, anche loro, il corteo sulle carrozzelle o nelle macchine […]. Credenti ed atei, cattolici e protestanti, uomini di parte e gente senza partito, forze organizzate ed aggregazioni che rifiutano, per principio, le aggregazioni, comunisti di vari convincimenti […]. Sindaci democristiani, socialisti, comunisti, sindacalisti […] si incontravano, forse alcuni, per la prima volta, si comprendevano senza sforzo, si sentivano incondizionatamente uniti dalla comune volontà per un mondo diverso». Un racconto entusiasta di quella prima grande manifestazione che si tenne a Comiso: fu il Cudip a siglare la prefazione del volume che raccoglie le testimonianze di quel giorno. La manifestazione ebbe un prologo, al mattino, con una tavola rotonda sui problemi del disarmo e della pace. Presenze bipartisan di parte politica: da Pio La Torre («Noi siamo contrari all’installazione della base missilistica a Comiso perché non vogliamo che la Sicilia diventi un avamposto militare in un eventuale scontro tra due blocchi») ad Angelo Capitummino («La mia adesione morale, culturale, politica a questa lotta per la pace si rifà ai valori che stanno alla base del mio impegno cristiano nel politico, nel sociale, nell’ecclesiale e nella Dc. Se qualcuno pensa che questi valori siano in contrasto con la mia appartenenza con la Dc lo dica: non avrei dubbi ad operare la mia scelta di servizio cristiano nel sociale e nell’ecclesiale […]. Bisogna dire no ai missili in Sicilia e in Europa, perché mi pare contraddittorio che si possa volere la pace, invitando gli altri a disarmarsi ed armando, nello stesso tempo, noi stessi»). Cagnes, al termine del suo intervento, assicurò: «Il nostro impegno di domani? Ci organizzeremo, come movimento, alla luce di quanto è avvenuto e nato in Sicilia, in questi mesi, consolideremo i centri di resistenza pacifista».

Gli organi d’informazione, la Rai in modo particolare, diedero uno spazio risibile alla manifestazione suscitando le vivaci proteste degli esponenti politici e del movimento per la pace che a Comiso aveva dato vita a un appuntamento di rilievo. Un evento che preannunciava l’altro grande appuntamento che, sei mesi dopo, fece registrare nella cittadina casmenea una pacifica invasione di manifestanti con numeri impensabili per gli organizzatori.

I 30.000 di ottobre furono senza dubbio una ‘spinta’ per il movimento a non abbassare la guardia. Sei mesi dopo, infatti, un’altra manifestazione, di dimensioni ben più ampie in termini di partecipazione, ‘invase’ Comiso. Circa 100.000 i manifestanti. Che i numeri triplicassero non era forse atteso, ma senza dubbio c’era la fondata probabilità che fossero comunque ben più alti di quelli che piazza Fonte Diana, luogo simbolo insieme ovviamente ai cancelli della base Nato, potesse contenere. Si scelse una spianata sulla strada che porta all’ex aeroporto ‘Vincenzo Magliocco’: dalle 14, un fiume interminabile di gente si riversò in quel luogo. Si registrarono adesioni da tutta Europa a quella imponente ‘prova’ di forza di un movimento che, ancora senza «sintesi », aveva la sua vitalità nella «molteplicità di presenze, di cultura, di spinte ideali e politiche», come evidenziò Antonio Calabrò.

Quella manifestazione si chiuse con un appello: «Consideriamo questa battaglia decisiva per il futuro stesso del movimento per la pace nel nostro Paese. Perdere Comiso vorrebbe dire aprire la strada ad ulteriori processi di militarizzazione del nostro Paese […]. Perdere Comiso vorrebbe dire sancire ulteriormente che il nostro Paese è ormai una colonia americana».

È il racconto che abbiamo ripreso dal volume ‘Centododici. Fiori, sorrisi e politica contro i missili Cruise a Comiso” di Davide Bocchieri, edito da Pressh24. Un pezzo della ‘nostra’ storia locale che ci ‘connette’ al resto d’Europa, ricordando le marce dei pacifisti di mezzo mondo contro l’installazione di missili nucleari nella provincia più a sud dell’Impero Nato. Non era il ‘problema’ di Comiso (anzi, i comisani furono più infastiditi che coinvolti in quelle ‘lotte’), ma era una causa comune. Tante giovani donne finirono in carcere per aver pacificamente protestato, come documenta anche il volume.

È vero che – come scriveva qualche giorno fa lo storico Andrea Riccardi, forse parte di quel pacifismo era ideologico. Ma, come commenta Riccardi, il problema è che oggi il pacifismo è sparito. Parla di “disinteresse generale a 360 gradi” il fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Non possiamo che concordare. I giovani sono scesi in piazza per chiedere che si cambi il sistema di alternanza scuola-lavoro che ha fatto due morti giovanissimi. Sacrosanto: siamo con voi! Anzi, che oggi come 40 anni fa la polizia risponda ancora oggi a suon di manganelli è inaccettabile.

Ma è un peccato – e non si addossi la colpa sulle loro spalle – che non una parola sia stata spesa per ribadire le ragioni della pace. Hanno avuto pessimi ‘maestri’. Gli adulti, i movimenti, i partiti, le associazioni. Un silenzio tombale, complice anche una narrazione mediatica degli eventi distorta e mediocre.

Un buon segnale, anzi, viene proprio dai giovani. Gli studenti, che protestano contro l’alternanza scuola lavoro, hanno levato la voce per chiedere di “annullare un accordo tra l’ufficio scolastico regionale e l’esercito per far svolgere le ore di alternanza scuola-lavoro dentro le caserme”. “Attacchiamo pesantemente questa scelta e chiediamo che l’accordo venga eliminato”, ha detto un rappresentante degli studenti durante una manifestazione a Palermo.

Gli anarchici ragusani, sui temi della lotta alla guerra, restano un piccolo faro di perseveranza. C’erano 40 anni fa, ci sono ancora oggi. Proprio ieri pomeriggio, nella sede di via Giambattista Odierna, a Ragusa, si è tenuta un’assemblea pubblica con tema: “Riflettiamo, ragioniamo e agiamo”. Un’altra assemblea è in programma il 25 febbraio, alle 18, nella stessa sede.