Donazione organi, la testimonianza di una famiglia scoglittiese

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Nel giorno in cui si celebra la Giornata nazionale per la donazione di organi e tessuti vi raccontiamo una storia piena di Amore, di quello con la A maiuscola.

Protagonisti, un bambino che all’epoca dell’intervento (lo scorso anno) aveva appena 10 mesi, la sua famiglia e il loro “eroe” che, come spesso accade in questi casi, proprio perché tale non vuole essere chiamato così.

Ma facciamo un passo indietro.

Il piccolo di questa storia alla nascita ha presentato dei valori relativi alla funzionalità epatica alterati. “Dopo qualche settimana, trascorsa all’ospedale Giovanni Paolo II di Ragusa, una pediatra di Vittoria- racconta la mamma, la signora Nadia- siamo stati indirizzati all’Ismett di Palermo. Per prima cosa hanno tentato di porre rimedio alla situazione con un intervento che cercava di ripristinare il flusso biliale. Ma non ci aspettavamo molto, perché ci hanno subito spiegato che funziona solo nel 30% dei casi e comunque si tratta di un intervento tampone perché, anche se in una fase successiva, il trapianto sarebbe stato necessario in ogni caso. Dopo qualche mese, l’intervento è stato dichiarato fallito e si è iniziato a parlare di trapianto. Nostro figlio è stato quindi inserito in lista ad aprile 2023 e contemporaneamente abbiamo iniziato le analisi varie per trovare un possibile ‘donatore vivente’.  Sia io che mio marito Giovanni non siamo risultati idonei, altri parenti lo erano ma magari erano fuori età o presentavano valori non validi. In questi casi, infatti, l’attenzione per la salute del donatore è massima. Alla fine, mio fratello Bryan è risultato idoneo”.

“Non potete immaginare la mia ansia- aggiunge Nadia- anche perché la differenza di età fra noi due, seppur non ampissima- ha fatto sì che per me Bryan fosse praticamente una specie di figlio.Abbiamo aspettato qualche altro mese, per capire se c’era la possibilità di seguire il classico trapianto da donatore cadavere, ma alla fine i medici hanno optato per la donazione da parte di mio fratello, viste l’evolversi delle condizioni di nostro figlio”.

“Quel giorno ho provato un vortice di emozioni assurdo e ancora oggi mi commuovo al solo pensarci” racconta emozionata Nadia: “mio fratello e mio figlio in sala operatoria, entrati a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro. Paura, tanta paura, ma anche tanta speranza perché sapevo di aver messo le loro vite in mano a persone più che competenti”.

“In Sicilia- aggiunge infatti Nadia- c’è una realtà che non conoscevamo ma che rappresenta un diamante della Sanità Siciliana e Italiana: l’Ismett di Palermo che affianca pazienti, genitori e donatori in questo percorso difficile. Si tratta di un istituto in parte italiano e in parte americano nel quale, attualmente, è presente una vera e propria eccellenza nel campo dei trapianti pediatrici: a guidare una equipe altrettanto competente ed esemplare, il professor Jean De Ville De Goyet, direttore del Dipartimento di pediatria per la cura e lo studio delle patologie addominali e dei trapianti addominali. È considerato uno dei massimi esperti della chirurgia pediatrica addominale e del trapianto di fegato pediatrico. Non solo: è soprattutto un uomo dalla grande sensibilità ed empatia.  Oggi, nonostante viva sempre con un po’ di ansia, nostro figlio sta bene ed ha iniziato a stare meglio già immediatamente dopo l’intervento. Riesce a giocare tranquillamente con la sorellina gemella, mentre prima era sempre stanco e quasi apatico. Anzi, debbo dire che è più vivace della sorellina”.

A raccontarci il punto di vista del donatore è proprio il diretto interessato, “zio Bryan”.

“La cosa più importante, in queste situazioni- afferma- è conoscere quello a cui si va incontro. Certo, non è una scelta facile. Va detto che si ha moltissima attenzione anche nei confronti di chi dona: ogni aspetto della salute viene valutato dal dietista, pneumologo, cardiologo e così via. Per me è stata una scelta semplice perché guardavo il bambino e lo vedevo già stanco. Negli ultimi periodi ero io stesso a chiedere di accelerare ed organizzare l’intervento perché non volevo più vederlo in quel modo.  In ogni caso chi dona può decidere di fare un gesto che nobilita innanzitutto te stesso. Mi preme però sottolineare che io non ho salvato una vita, ho donato tempo. Il tempo che gli era stato rubato dal momento della nascita a quello dell’intervento. A salvare la vita sono stati i medici”.

 “La donazione, aggiunge, per me ha rappresentato un momento catartico, una pietra miliare nella vita di una persona. Se puoi, devi farlo. Ecco perché ricordo che è importantissimo diventare donatori. Scegliete di esserlo facendolo segnare già nelle carte di identità. Ricordiamo che ogni donatore può salvare almeno sette vite. Non abbiate paura né preconcetti assurdi”.

Noi siamo stati fortunati– aggiunge Nadia- perché mio fratello Bryan è risultato compatibile e idoneo. Ma se così non fosse stato? In Italia, tra l’altro, la donazione di organo si può fare solo da consanguineo e bisogna anche seguire un percorso che passa dai Tribunali. In vita, altrimenti, è possibile donare solo il midollo”.

La storia della donazione in Italia è molto recente.

A tracciare un solco fu soprattutto quanto accadde a Nicholas Green, il bimbo americano di 7 anni che nel 1994 rimase ucciso durante un feroce tentativo di rapina sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. I Green erano in vacanza in Italia e in quel momento erano diretti in Sicilia. La decisione dei genitori di donare gli organi del bimbo consentì di salvare sette vite, sette persone in attesa di trapianti. All’epoca la donazione degli organi in Italia era vista come un tabù e il grande gesto d’amore della famiglia Green aiutò molti italiani a capire il valore della donazione degli organi che da allora aumentarono in maniera rilevante.

Ad oggi l’Italia è al secondo posto in Europa, dopo la Spagna, per numero di trapianti effettuati. I trapianti e il loro follow up sono totalmente garantiti dalla sanità pubblica. Ma c’è anche un elemento negativo: l’aumento delle opposizioni al momento della morte di un familiare, ma anche al momento della dichiarazione di volontà da parte dei cittadini quando rinnovano la Carta di identità. Il calo è dell’1,2 per cento per quanto riguarda le donazioni post mortem, che fa salire la percentuale di oppositori al 30,5 per cento; diminuzione, invece, dello 0,3 per cento per quanto riguarda le dichiarazioni di volontà, cioè quello che si dichiara quando si rinnova la Carta di identità, con una percentuale di “no” alla donazione del 31,5 per cento della popolazione maggiorenne.

Ma perché succede?

Una delle paure più diffuse è quella secondo la quale il sistema sanitario nazionale non garantirebbe cure accurate a chi dia l’assenso alla donazione degli organi. Ovviamente è falso, perché esistono protocolli ben precisi e professionalità ben distinte nell’accertamento della condizione clinica di morte cerebrale. Innanzi tutto, l’accertamento è obbligatorio a prescindere che si sia o meno donatori di organi. In secondo luogo, il medico che accerta le prime avvisaglie di questa condizione è diverso dalla commissione medica che accerta la morte cerebrale vera e propria. Altro aspetto che incide su questa scelta, la scarsa fiducia nel sistema sanitario nazionale, anche se le classifiche europee lo giudicano in vetta per quanto riguarda le procedure di trapianto.

Pur nella totale libertà di scelta di ogni singolo individuo, a nostro parere vale la pena mettersi nei panni di chi aspetta un organo, e dei loro cari, prima di decidere.