Marsa Siclà libero dai sigilli. Il legale: “Grave caso di malagiustizia”

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Com’era stato preannunciato, ieri mattina sono stati rimossi i sigilli che dal 19 gennaio scorso hanno blindato il villaggio turistico Marsa Siclà, così come Baia Samuele.  E’ stato subito evidente che ci sarà un bel da fare per ripristinare lo stato dei luoghi in modo da poter tornare ad accogliere turisti, tuttavia i proprietari sono determinati a fare tutto molto rapidamente – e innanzitutto a rientrare in possesso del certificato di agibilità – in modo da riaprire ad agosto e cercare di salvare almeno una parte della stagione.

La Corte di Cassazione si è espressa in favore del dissequestro lo scorso 16 luglio, l’ultima data utile prima che iniziasse il lavoro della Sezione Feriale, che probabilmente avrebbe fatto slittare ogni decisione al prossimo inverno.

Marsa Siclà è stato l’unico, tra i villaggi sequestrati, a fare ricorso in Cassazione, dopo essersi visto negare il dissequestro prima dal Gip e poi dal Tribunale del Riesame. A patrocinare i proprietari in Cassazione è stato l’avvocato Giorgio Floridia, con il suo studio di Milano: “Non mi occupo mai di penale – precisa – ma ho preso a cuore questo caso, vedendo quali conseguenze catastrofiche poteva avere per un’impresa e per i suoi lavoratori”. 

 

Avvocato Floridia, anche se le motivazioni della Cassazione non sono ancora state depositate, è importante capire se alla base della decisione vi sono ragioni formali o piuttosto sostanziali. Lei che ne pensa?

Il mio ricorso è stato fondato su questioni sostanziali: ho spiegato quali erano gli elementi di fatto e rilevato che non corrispondevano con la fattispecie criminosa contestata: le accuse si riportano a un delitto di tipo mafioso, di competenza della direzione distrettuale, che presuppone la presenza di un’organizzazione in grado di impiegare mezzi importanti in un grosso traffico di rifiuti.

In questo caso gli accertamenti hanno rivelato solo piccole irregolarità amministrative.

Personalmente non avevo nessun dubbio che il ricorso sarebbe andato a buon fine, tuttavia in questi casi possono intervenire molte variabili. Sono contento di aver verificato che la relatrice incaricata, in Cassazione, abbia ricostruito la vicenda in modo molto preciso e puntuale.

 

Ma allora perché finora il dissequestro è stato sempre negato?

A mio modo di vedere siamo di fronte a un clamoroso e grave episodio di malagiustizia. Mi sono meravigliato moltissimo che non si riuscisse a sbloccare la situazione, quasi che vi fosse una sindrome giustizialista o una questione ideologica. In teoria tutto è partito dalle chiazze a mare, in una parte di territorio totalmente privo di regolari reti fognarie, dove ci sono persino case abusive e scarse possibilità di controllo: un rapporto ha dimostrato che ci vorrebbero opere per 90 milioni di euro per realizzare le reti necessarie. Dunque è stato supposto che potesse esserci uno scarico abusivo da parte dei villaggi, che, nonostante l’impiego dei sommozzatori, non è stato trovato. Forse sarebbe stato opportuno avere un atteggiamento più prudente…

 

Lei ha fatto riferimento al reato contestato, che è appunto il traffico illecito di rifiuti. Questo nell’immaginario collettivo è stato collegato all’inquinamento del mare. Ma cos’hanno effettivamente in comune le due cose?

Con la definizione di “traffico illecito dei rifiuti” ci si riferisce, come dicevo, a forme di smaltimento imprenditoriale, solitamente volte a realizzare un guadagno dalla vendita dei rifiuti stessi. Ci sono pronunce che allargano questa fattispecie alle attività finalizzate a ottenere notevoli risparmi sui costi di smaltimenti speciali. In tutti questi casi, però, si fa riferimento a quantitativi di rifiuti particolarmente ingenti, trattati sempre con intento speculativo. Tutto questo ha poco a che vedere con l’adeguatezza degli impianti fognari di un villaggio turistico… Nel frattempo il mare sporco era e sporco è rimasto.

 

Questa “vittoria” crea un precedente che può valere anche per gli altri villaggi, Baia Samuele e Marispica?

Deve necessariamente essere fatto valere. In particolar modo nel caso di Baia Samuele, mi sto occupando io stesso del ricorso, perché le due strutture sono identiche e sono state trattate in modo identico: non c’è ragione che ciò non accada fino alla fine.

 

Le domande – per certi versi amaramente retoriche – che molti si fanno sono: chi pagherà per tutto questo? Le strutture potranno chiedere un risarcimento dei danni? E i lavoratori? E tutto l’indotto?


Questo è uno dei grandi problemi italiani, e lo dice uno che ha fatto il magistrato per 19 anni. Purtroppo non pagherà nessuno, le vittime di questa situazione si terranno i loro danni e dovranno affrontarli. La necessità che i magistrati siano assolutamente liberi di agire come ritengono giusto, ha come rovescio della medaglia la mancanza di qualunque deterrente che possa indurli ad essere più prudenti. In questi casi dovrebbe essere lo Stato a risarcire i danni causati da una malagiustizia così evidente. Tuttavia sappiamo bene che le cose stanno diversamente.