Arrestati altri due scafisti, dovranno rispondere anche dell’omicidio del giovane eritreo

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La Polizia di Stato di Ragusa – Squadra Mobile – con la collaborazione della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza e della Compagnia Carabinieri di Modica ha eseguito il fermo di JALLEW Mamadu, nato in Gambia l’01.01.1995 e BANGURA Khalifa, nato in Sierra Leone il 03.06.1990, in quanto responsabile del delitto previsto dagli artt. 416 C.P. e 12 D.Lgs.vo 25.7.1998 nr. 286, ovvero si associava con altri soggetti presenti in Libia al fine trarne ingiusto ed ingente profitto compiendo atti diretti a procurare l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari di varie nazionalità. Il delitto è aggravato dal fatto di aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale in Italia di più di 5 persone; perchè è stato commesso da più di 3 persone in concorso tra loro; per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale delle persone esponendole a pericolo per la loro vita e incolumità ed inoltre per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state sottoposte a trattamento inumano e degradante.
Gli arrestati hanno condotto dalle coste libiche a quelle italiane un fatiscente gommone carico di 102 migranti provenienti dall’Eritrea, Mali, Nigeria, Etiopia e Sudan.
Inoltre i due fermati, secondo quanto raccolto in elementi di prova dagli investigatori della Squadra Mobile, dovranno rispondere dell’omicidio di un giovane eritreo ferito a morte mentre saliva a bordo del gommone dai complici libici di fatto organizzatori e promotori del tratta di esseri umani.

I FATTI

Alle ore 07,30 del 06/04/2014 la fregata “SCIROCCO” della Marina Militare italiana dirigeva la proprio rotta verso due gommoni che versavano in serie difficoltà ed aveva richiesto soccorso mediante telefono satellitare. Le ricerche dei natanti da parte dell’unità navale militare venivano effettuate anche con l’utilizzo dell’elicottero. La nave durante le fasi di soccorso dei due gommoni verificava che tra i 103 soggetti del secondo gommone ve ne era uno senza vita, il cui cadavere veniva anch’esso trasbordato sull’unità militare. A conclusione dell’attività di soccorso la nave Scirocco dirigeva verso il porto di Pozzallo ove ormeggiava alle ore 11.00.

ORDINE PUBBLICO ED ASSISTENZA

Le operazioni di sbarco al porto di Pozzallo venivano coordinate dal Funzionario della Polizia di Stato della Questura di Ragusa responsabile dell’Ordine Pubblico, operazioni alle quali partecipavano 30 Agenti della Polizia di Stato, altri operatori delle Forze dell’Ordine, la Protezione Civile, la Croce Rossa Italiana ed i medici dell’A.S.P. per le prime cure.
Prima delle fasi di sbarco la Polizia Giudiziaria e la Polizia Scientifica unitamente ai medici della Sanità Marittima ed al Medico legale ispezionavano il cadavere del giovane eritreo al fine di appurare le cause del decesso. Il medico legale con grande professionalità, sin dai primi istanti, asseriva che la morte era dovuta ad un evento traumatico occorso circa 30 ore prima.
Dopo aver fatto scendere il cadavere del giovane eritreo tra la commozione dei connazionali e di tutto il personale di servizio, riprendevano le fasi di sbarco dei restanti giovani migranti.
Nelle more delle fasi di sbarco il Funzionario di Polizia responsabile dell’Ordine Pubblico si occupava di trasferire tutti gli ospiti del centro di Pozzallo al fine di poter accogliere quelli appena giunti., Una volta a terra gli extracomunitari venivano ospitati presso i locali del C.P.S.A. sito all’interno della succitata area portuale al fine di sottoporli alle difficoltose e delicate fasi di identificazione da parte di personale del Gabinetto Provinciale di Polizia Scientifica e dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Ragusa.
Dopo il soccorso e l’assistenza sanitaria dei migranti, la Polizia di Stato iniziava le procedure di identificazione e di intervista insieme ai mediatori.

LE INDAGINI

Gli uomini della Squadra Mobile della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri in questa occasione hanno dovuto triplicare le forze al fine di individuare gli scafisti di ogni singola imbarcazione soccorsa.
Non è stato semplice soprattutto per la morte del giovane eritreo. In questa occasione non è bastato entrare in empatia con loro, i migranti erano terrorizzati e gli investigatori non avevano alcun indizio sugli scafisti in quanto erano tutti provenienti dal centro africa e non (come frequentemente accade) tunisini o egiziani.
Grazie alla costanza ed all’esperienza maturata sul campo della Polizia Giudiziaria, i connazionali del giovane deceduto erano i primi a cedere ed a raccontare le drammatiche fasi dell’uccisione del loro amico tra lacrime e rabbia per quanto accaduto.
Anche in questo caso ci sono volute 12 ore per riuscire a trovare dei migranti disposti a collaborare ma alla fine gli sforzi sono stati ripagati dal risultato, difatti diversi cittadini eritrei si sono determinati a testimoniare permettendo così di raccogliere importanti elementi di prova a carico degli scafisti che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa sta già valutando.
Dalle indagini è emerso con assoluta chiarezza espositiva dei migranti ascoltati come testimoni, che i libici sin da quando si trovavano nei capannoni in più di 500 li picchiavano senza alcun motivo, neanche il più stupido. Le dichiarazioni dei testimoni erano difficili pure da scrivere per i Poliziotti, violenze inaudite.
Durante le fasi di trasferimento dal capannone alla spiaggia i libici continuavano a picchiare tutti comprese le donne ed i colpi inferti con dei grossi bastoni in legno erano indirizzati alla testa, al collo, alle gambe in ogni parte del corpo.
Quando i migranti salivano a bordo del gommone venivano picchiati tutti con i bastoni in legno per mantenere quello stato di terrore così da farli viaggiare senza poter avanzare istanze ai due scafisti preposti alla conduzione del natante fino al momento del soccorso per altro preordinato.
Nel salire a bordo uno degli eritrei veniva colpito violentemente alla nuca e cadeva esamine al centro del gommone; nel contempo arrivavano tutti gli altri e lo calpestavano per raggiungere il posto indicato dagli scafisti. Completato l’imbarco avveniva in tutta fretta la partenza ma dopo pochi minuti di navigazione qualcuno si accorgeva che il loro compagno di viaggio non stava dormendo ma era morto e chiedeva agli scafisti di fermarsi e tornare indietro. I due criminali si opponevano dicendo per tutta risposta di gettarlo in mare ma il popolo eritreo è molto unito e con fermezza ottenevano di farlo rimanere a bordo fino al termine del viaggio. Anche gli altri migranti di nazionalità diverse non volevano gettare in mare il cadavere e quindi i due scafisti non potevano fare altro che continuare il viaggio. Ritornare per loro significava morte certa, quindi meglio la galera in Italia.

LE TESTIMONIANZE

I racconti dei migranti fondamentali per le indagini:

ο Vivevo in Sudan ed ho saputo sin da subito la somma di denaro che avrei dovuto consegnare all’organizzazione sudanese, che era di 700 dollari USA per iniziare il mio viaggio per l’Italia. Erano gli stessi sudanesi che provvedevano alle nostre esigenze alimentari, dopo aver da noi ricevuto i soldi per la relativa spesa. Gli stessi erano armati di coltelli ma mai hanno avuto modo di usarli contro di noi e mai ci hanno minacciato. Poco più di due settimane dopo il mio trasferimento in una piccola casa, abbiamo attraversato senza problemi il confine tra Sudan e Libia, fermandoci a pochi chilometri da tale confine. In territorio Libico gli elementi dell’organizzazione sudanese ci consegnavano a quelli dell’organizzazione libica e questi, a bordo di autovetture fuoristrada, ci conducevano in un villaggio facendoci entrare all’interno di un capannone dove vi erano altri soggetti che come me e i miei compagni erano stati reclutati per partire verso l’Italia. Sono rimasto nel citato capannone per due settimane e con il passare dei giorni il numero di noi clandestini all’interno di esso diventava sempre maggiore, fino a raggiungere circa 500 unità.
Con noi vi erano anche donne e bambini e solo i libici potevano parlare con le donne, a loro era concesso tutto.
Relativamente alla nostra alimentazione provvedevano i libici con due pasti al giorno costituiti da pasta o riso. I libici erano sempre armati di pistole o di fucili e la loro vigilanza su di noi era costante. A nessuno veniva permesso di lasciare il capannone e guai a coloro che avanzavano proteste di qualsivoglia natura, situazione queste che davano sfogo a reazioni ingiustificate dei libici che picchiavano con bastoni ogni malcapitato.
Cinque giorni prima della mia partenza ho corrisposto ai libici l’importo di 1.000 dollari USA quale corrispettivo per il viaggio in Italia.
La partenza dal capannone avveniva di notte allorquando una buona parte di noi veniva fatta salire sui fuoristrada ed accompagnati, dopo circa 20 minuti di marcia, in un punto che non so indicare. Tutti quanti, scortati dai libici armati, ci incamminavamo e dopo circa 3 ore raggiungevamo un arenile. Durante il tragitto le botte erano continue come per incuterci il terrore così da evitare fughe o ripensamenti. Eravamo tutti spaventati e non sapevamo che fare.
Sul gommone prendevamo posto tutti quanti noi e venivamo bastonati nel momento in cui mettevamo piede sul natante
Le bastonate dei libici ci raggiungevano in qualsiasi parte del corpo ed anche in parti vitali, quali la testa, la nuca e il collo.
Tutti quanti eravamo stremati a causa della lunga strada percorsa a piedi e molti di noi, sebbene in situazioni precarie, hanno cercato di acquisire una postura tale da consentirgli di prendere sonno. Io mi trovavo ad occupare un posto posizionato al centro del gommone, quando uno di noi ci faceva notare che un soggetto, probabilmente di nazionalità eritrea, era deceduto.
A quel punto si discuteva di cosa fare del corpo del soggetto deceduto ed era questione di divergenza di opinioni quella di liberarsene buttandolo in mare o quella di tenerlo con noi in attesa dei soccorsi italiani. Tra le due prevaleva la seconda e alcuni dei soggetti, forse del Mali, trovavano più agevole, dato l’estremo affollamento, sedersi direttamente sopra il cadavere. Durante la navigazione più volte gli scafisti ci dicevano di gettare in mare in cadavere ma noi ci opponevamo con fermezza perché volevamo continuare il viaggio con il nostro amico.

ο Durante le operazioni d’imbarco i libici ci picchiavano violentemente spingendoci verso l’acqua per farci salire sul gommone. Quasi tutti avevano dei grossi bastoni che usavano per colpirci anche nel momento in cui mettevamo piede sul gommone. Siamo stati ammassati sul natante che hanno poi spinto verso il largo e siamo partiti. Alle prime luci dell’alba mi sono accorto che uno dei miei compagni di viaggio, che era vicino a me, credo fosse eritreo, era privo di vita. Non mi sono accorto prima del suo decesso in quanto lo stesso assumeva sul gommone la posizione supina, tanto da farmi capire che si era addormentato appena dopo essere salito sul gommone. Nessuno di noi ha avuto il coraggio di toccarlo e l’abbiamo lasciato dov’era, anzi alcuni sono stati costretti a sedersi sopra le sue gambe perché non c’era spazio sul gommone. Abbiamo continuato la navigazione fino al primo pomeriggio, quando siamo stati soccorsi e trasbordati su una nave della Marina Italiana.

ο sono stato condotto presso un capannone, dove trovavo altra tanta gente ad aspettare, durante la permanenza in detto capannone i libici erano soliti picchiarci anche per futili motivi con grossi bastoni, il mangiare era scarso come del resto anche l’acqua. Venivo prelevato con una macchina unitamente ad altri miei connazionali, però poi siccome c’era tanto traffico sulla strada, per paura che la Polizia Libica ci fermasse per dei controlli, i libici ci hanno fatto scendere ed fatto incamminare per svariati kilometri per poter raggiungere la spiaggia. Arrivati su detta spiaggia ad attenderci vi erano già pronti due gommoni, ed altri personaggi libici, gli stessi ci hanno cominciato a metterci in fila per uno per farci imbarcare su uno di questi gommoni già pronti, ad un tratto senza spiegazioni i libici cominciavano a picchiarci con dei bastoni per affrettare le operazioni di imbarco. Durante dette operazioni vedevo che un ragazzo veniva colpito violentemente al collo, cadendo all’interno del gommone stesso, ma non mi rendevo conto delle sue condizioni. Su detto gommone venivo sistemato a poppa, in prossimità del motore e dove vi si trovavano circa 5 o 6 bidoni di benzina che servivano per il viaggio, durante il viaggio lo scafista mi diceva di prendere un bidone di benzina per proseguire il viaggio, durante detta operazione lo stesso bidone si apriva e mi cascava la benzina addosso, per questo ho la parte dell’addome bruciato, è possibile che parte della benzina sia cascata addosso al ragazzo che giaceva immobile vicino a me. Abbiamo navigato per circa 14-15 ore senza avere ne cibo ne acqua, poi ho notato un elicottero che ci aveva avvistato e ci sorvolava sopra, prima di questo avvistamento notavo che chi conduceva il gommone usava degli strumenti tipo la bussola per mantenere la rotta, ed un telefonino che usava per chiamare aiuto, in lingua inglese alle autorità italiane.

LA CATTURA

Le indagini condotte dagli investigatori durate 16 ore continuative, hanno permesso anche questa volta di sottoporre a fermo di indiziato di delitto i responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di essersi associati con dei libici al momento ignoti che hanno ucciso uno dei migranti.
Dalle dichiarazioni raccolte è stato possibile appurare le modalità dell’omicidio del giovane eritreo che seppur non permettono di determinare responsabilità dirette dei due scafisti per la morte del ragazzo eritreo, di sicuro risponderanno anche per il reato voluto solo dai loro consociati libici che lo hanno ferito a morte.
Al termine dell’Attività di Polizia, l’arrestato è stati condotto presso il carcere di Modica disposizione dell’Autorità Giudiziaria Iblea anch’essa impegnata sul fronte immigrazione costantemente.
In corso complesse indagini con i gruppi di investigatori presenti in territorio estero sugli altri componenti dell’associazione a delinquere di cui i fermati fanno parte responsabili del rato commesso in Libia ai danni del giovane eritreo.

LA GESTIONE DELL’ORDINE PUBBLICO

La Polizia di Stato responsabile dell’Ordine Pubblico così come delle indagini in materia di criminalità straniera, sta gestendo la “macchina” organizzativa con grande dedizione permettendo un fluido arrivo e contestuale partenza verso altre mete dei migranti a bordo dei charter messi a disposizione del Ministero dell’Interno.
Anche oggi in Sicilia arriveranno centinaia di migranti salvo che a Pozzallo in quanto bisognerà attendere l’esito dell’autopsia disposta dal Pubblico Ministero.
Gli uomini e le donne della Polizia di Stato stanno dando grande esempio di professionalità e spirito di abnegazione.
L’Ufficio Ordine Pubblico per disposizioni del Questore di Ragusa Giuseppe Gammino sta organizzando partenze via charter per far partire tutti i migranti in altri centri di accoglienza.

BILANCIO ATTIVITA’ POLIZIA GIUDIZIARIA

Sino ad oggi, solo nel 2014 sono stati arrestati 32 scafisti dalla Polizia di Stato – Squadra Mobile con la collaborazione della Guardia di Finanza e dei Carabinieri.
Diverse sono le indagini della Squadra Mobile in atto da parte degli investigatori per valutare la presenza di organizzazioni criminali che reclutano i migranti sul territorio italiano per far raggiungere loro il nord Europa clandestinamente.