“Noi possiamo sperare perché Cristo è risorto”: ecco il messaggio di Pasqua del Vescovo Urso

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Il vescovo di Ragusa, monsignor Paolo Urso, ha presentato alla Diocesi di Ragusa il suo messaggio Pasquale. Dalla Cappella del Vescovado ecco le parole rivolte alla comunità:

Buona Pasqua, amici miei! Buona Pasqua a tutti!

Desidero ancora una volta annunciarvi con gioia: Cristo è risorto! Il Signore della vita era morto, ma ora vivo trionfa! Cristo risorto è la nostra speranza! Lontano da lui c’è solo tristezza e angoscia.

E vi chiedo di proclamare con convinzione: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto» e di invocare con fede: «Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza».

Nel contesto dell’anno pastorale dedicato alla speranza, mi piace sottolineare che la morte e la risurrezione di Gesù sono il «cuore della nostra speranza». Senza la fede nel Cristo morto e risorto, «la nostra speranza sarà debole» e «non sarà neppure speranza» (Papa Francesco, Catechesi all’udienza generale, 3 aprile 2013). Non possiamo infatti dimenticare le parole di san Paolo: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (Prima lettera ai Corinzi, capitolo 15, versetto 17).

Amici miei, noi possiamo sperare perché Cristo è risorto, è veramente risorto!

Nikos Kazantzakis (1885-1957) è poeta e narratore greco di grande valore, ed è anche il simbolo dell’inquietudine, dell’avventura, della ricerca. Affascinato dall’idea di Dio (che però non coglie nel suo vero volto), dalla figura di San Francesco e dall’esperienza dei monasteri, ma anche da personaggi e da idee di segno opposto, è stato definito «uno scrittore inseguito dal demone dell’inquietudine metafisica e della ricerca senza meta, avventuriero senza bussola e senza approdi» (Ferdinando Castelli, Volti di Gesù nella letteratura moderna, vol. II, Paoline, Milano1990, pag. 305). Egli aveva scritto che è dovere dell’uomo «vincere l’ultima, la più grande tentazione, la speranza»; conseguentemente volle che sulla sua tomba si scrivesse: «Nulla temo, nulla spero, sono libero».

Per noi è così solo in parte. «Nulla temo», è vero, non temiamo nulla perché ci fidiamo di Colui che ci ha ordinato di non aver paura (Vangelo di Marco, capitolo 6, versetto 50); “sono libero”, aneliamo alla libertà, perché Cristo ci ha liberati per la libertà (cfr. lettera di san Paolo ai Galati, capitolo 5, versetto 1). «Nulla spero», no. Noi non possiamo non sperare. Noi, vi dicevo a Natale, dobbiamo sperare, abbiamo bisogno di sperare in Colui che, solo, può curare le ferite, rasserenare il cuore, donare la pace. Noi abbiamo bisogno di guardare avanti, con fiducia e coraggio.

La speranza ci permette di vedere il futuro, anche se gli occhi sono pieni di lacrime. Gli occhi dell’uomo e della donna che vivono nella speranza vedono «la tenda di Dio con gli uomini», dove «Dio abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse, capitolo 21, versetti 3-4).

La speranza non è una «tentazione», ma un dono e una risorsa per vivere e vivere bene!

Amici miei, noi possiamo e dobbiamo sperare perché Cristo risorto è vivo e ci ama!

Il 21 marzo scorso è tornato alla casa del Padre, mons. Giuseppe Pasini, un prete padovano che ha amato Dio soprattutto servendolo nei poveri. Nel suo intervento a Lucca il 1º marzo 2008, in occasione del convegno su «La nostra memoria per un nuovo annuncio», mons. Pasini disse: «Il contenuto della speranza è sintetizzato in tre verbi: Cristo risorto è vivo, mi ama, mi attende. Il centro di tutto è: Mi ama».

Affido alla vostra meditazione questi tre profili della speranza.

Molto semplicemente vi dico che a Pasqua noi diciamo a voce alta la nostra speranza in Cristo, che è risorto ed è vivo, ci ama e ci attende perché la gioia non abbia mai fine.

A Pasqua noi diciamo a voce alta che l’amore di Cristo è presente nel mondo, è più forte di qualunque male e non ci abbandona! Che cosa, si chiedeva san Paolo, potrà separarci dall’amore di Cristo, «la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?». La risposta è: «In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati»; nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Lettera ai Romani, capitolo 8, versetti 35-39).

Con tanto affetto.

+ Paolo, vescovo