Robustelli rilegge la Medea di Pierpaolo Pasolini

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Quaranta opere per attraversare la “Medea” di Pierpaolo Pasolini, trasferendo l’immagine cinematografica in suggestione pittorica e dialogando in ogni sequenza con la potente fotografia del film: l’artista Giovanni Robustelli accetta la sfida di rileggere uno dei soggetti più controversi della cultura di ogni tempo, inaugurando domenica 31 maggio a Castel dell’Ovo a Napoli la mostra “Medea – da Pasolini”, che resterà aperta fino al 4 luglio.

La mostra, organizzata da Phoenix Tour, con il patrocinio del Comune di Napoli e dell’Archivio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Bologna, è curata da Leo Lecci. Le opere realizzate appositamente da Robustelli, interpretano il tema attraverso dimensioni e tecniche diverse: si va da pannelli piccolissimi, di 10×10 centimetri, a grandi tele di 5×3 metri, su cui l’artista ha lavorato in acquerello e grafite, olio e vernici sintetiche.

Questa personale di Robustelli esprime l’esito di una ricerca artistica sempre guidata dallo studio sulla semiotica del linguaggio e, soprattutto, del valore del “significante”: proprio per questo l’artista si è spesso trovato, sul suo percorso, a lavorare con la cultura classica e quindi con il mito. E proprio Medea è uno dei soggetti che ha più studiato e sviscerato, non solo nelle versioni della tradizione greca ma anche nelle rivisitazioni relativamente più moderne: da Cherubini a Lodovico Dolce, da Corrado Alvaro a – appunto – Pier Paolo Pasolini. 

Robustelli ha voluto rielaborare l’immagine cinematografica di Medea. Nell’opera di Pasolini esiste una serie di contingenze linguistiche e ideologiche: l’opera lirica e la musica classica evocata dalla protagonista Maria Callas; il cinema di Pasolini, che contribuisce ad un discorso intellettuale portato avanti anche nel teatro di Carmelo Bene; il mito che proviene direttamente da Euripide e quindi dalla classicità come apoteosi dell’icona.

Robustelli orchestra così una serie di opere che si organizzano ad un rimando continuo tra la fotografia del film e lo spazio del quadro, tra sequenze e tempo “percorribile” della superficie, tra simboli, icone e la loro frantumazione attraverso il segno. Le caratteristiche tecniche del film, il medium linguistico, si mischia e influenza i significanti metalinguistici creando pretesti semiotici su più livelli. La tecnica assume l’aspetto di coscienza critica e subito dopo di incoscienza evocativa.

Il segno disciplinato come una preghiera tende, nonostante la sua estrema presenza, a togliere di mezzo l’autore e a manifestare una spiritualità come conseguenza, come frutto dell’opera pasoliniana. Robustelli diventa spettatore, poi critico e infine visionario di un linguaggio da cui prende il testimone per poi cercare di sbarazzarsene (contemplandone persino il fallimento e l’abbandono al linguaggio come litania, in un ritmo astraente).

Le immagini diventano testimonianza, interpretazione ed evocazione d’altro. L’immagine come involucro, come pelle di serpente. Un valore che si perde continuamente, che scivola dal suo contenitore nonostante cerchi di trattenerlo, ne richieda, per forza di cose, significato. La tecnica dell’assenza, dello svuotamento, dell’abbandono per essere il significante presente lì dove non c’è più sostanza.

All’interno del percorso espositivo verrà anche proiettato, in loop, un breve documentario, realizzato da Vincenzo Cascone e con il prestigioso contributo di Enrico Ghezzi e del direttore della fondazione Pasolini di Bologna Roberto Chiesi, che espone diversi aspetti della mostra come percorso intellettuale, affrontando l’aspetto critico del film di Pasolini, il dialogo tra pittura e cinema, e ulteriori spunti per nuovi percorsi artistici e antropologici.
Anteprima: https://www.youtube.com/watch?v=hqVTLSorISY