Ok dalla Regione per trivelle e pozzi, no degli ambientalisti. E il Comune di Ragusa?

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No a nuove trivelle
Foto di repertorio

La Regione tira diritto e non vuol saperne dei dubbi sulla tutela del paesaggio e dell’ambiente. Tramite l’avvocatura dello Stato si chiarisce che “La Irminio era ed è in possesso di tutte le autorizzazioni prescritte e necessarie per procedere alla perforazione di nuovi pozzi, fatta eccezione per l’autorizzazione del Comune di Ragusa”.

E’ il nodo da sciogliere nelle prossime ore. Il Tar, infatti, ha dato tempo al Comune fino al 14 giugno: entro quella data deve concludere il procedimento sospeso il 22 gennaio scorso. “Il Collegio – si legge nell’ordinanza del Tar Catania – ritiene che, in considerazione degli assai rilevanti interessi economici relativi alla vicenda di cui si tratta, la domanda cautelare debba essere accolta mediante la fissazione di un termine di trenta giorni”.

Il Comune attendeva un nuovo parere della soprintendenza. Ma la Panvini non ha mai risposto a quella lettera. E non lo farà, come evidenzia lo stesso Tar. “Il Comune dovrà concludere il procedimento tenendo conto che la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Ragusa non ha ritenuto di fornire i chiarimenti richiesti dall’Amministrazione Municipale in tal modo confermando sostanzialmente l’avviso espresso con il nulla-osta del 6 novembre 2014”.

Per la Regione, quindi, non ci sarebbe alcuna violazione né del piano paesaggistico né delle Norme tecniche di attuazione del Prg. Quello che, nei fatti, sembra venire fuori, anche con la sentenza del Tar Lazio che boccia il ricorso di alcuni comuni, tra cui Ragusa, contro le trivellazioni in mare, è che gli enti locali non hanno potere alcuno di autodeterminazione. La strada utilizzata per togliere alle comunità locali la facoltà di decidere dello sfruttamento del proprio territorio è quella della pubblica utilità. Quei pozzi, insomma, dice l’Avvocatura dello Stato, si devono fare.

Il problema è di tipo economico, e lo stesso avvocato dello Stato lo chiarisce nella memoria difensiva dinanzi al Tar: “I ritardi dovuti alla carenza di autorizzazione si riflettono negativamente sulle amministrazioni regionali che, oltre a non ricevere gli aumenti di royalty, pari al 20 per cento del fatturato ottenuto dalla vendita e derivanti dall’aumento di produzione che sarebbe stato conseguito perseguendo nel programma di nuovi lavori, subisce perdite in termini di Ires e imposte sul fatturato dell’indotto regionale”.

E poi, lo stesso avvocato dello Stato, “si ha un grave danno all’immagine nei confronti degli investitori esteri, provocato dall’incertezza del diritto che la situazione” starebbe causando. Anche sul fronte locale le pressioni sono assai forti. Un gruppo di lavoratori del comparto ha promosso un sit in davanti al Comune per martedì mattina. Chiedono che Palazzo dell’Aquila dia il nulla osta per partire coi lavori. Unici a essere contrari gli ambientalisti.

Ma la determinazione della Regione, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, quella della società, che richiede anche risarcimenti danni enormi (una “prassi”, ma pur sempre uno spauracchio per l’ente pubblico), e ancora la pressione interna lasciano pochi margini per un’alternativa al via libera (per quanto riguarda le sole opere edilizie, per il resto l’iter è ormai concluso).