Le riflessioni del PD, il trionfo 5 stelle, l’evanescenza della destra: l’analisi di Salvatore Cannata

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Avere il cognome che inizia per ‘Cr’ non ha portato benissimo, in questa tornata elettorale siciliana. Chiedere a Crisafulli e a Crocetta per conferma. Sono loro due i ‘grandi sconfitti’.

Crisafulli battuto nella sua Enna, città dove è sempre stato il plenipotenziario politico e dove si ritrova senza un ruolo. Crocetta a Gela, città che ha governato, di cui è stato sindaco e che gli ha dato la ‘spinta’ per diventare prima parlamentare europeo e poi governatore.

Crisafulli aveva già perso al primo turno, quando non era riuscito a centrare l’elezione diretta, diventando la ‘sorpresa’ negativa di quella tornata. Sconfitta che è diventata ‘massacro’ ieri, quando le urne si sono aperte e Greco, il suo avversario, lo ha battuto 52 a 48 per cento. Mirello ieri è apparso un misto di ‘ira e malinconia’. Ha subito la ‘botta’, non c’è che dire. Mai avrebbe pensato che Enna gli poteva voltare le spalle così.

Crocetta invece, more solito, se l’è presa con tutti per spiegare la sconfitta di Fasulo contro il candidato a 5 stelle Messinese, che diventa il nuovo sindaco di Gela. Per il governatore, la colpa è del candidato sindaco che non ha saputo ottimizzare i cinque anni in cui ha guidato la città, del Pd regionale che non lo agevola nel guidare Palazzo d’Orleans, del Pd nazionale che litiga, del governo Renzi che delude l’Italia e chissà di chi altro. Una parola però sul fatto che i suoi concittadini gli abbiano voltato le spalle, punendolo per l’assoluta inconsistenza del suo governo regionale, fatto di chiacchiere a iosa e di nessun fatto, il governatore s’è guardato bene dal dirlo. E’ fatto così. La colpa è sempre degli altri; click day, Expo o elezioni che siano.

A proposito di chi ha perso, anche per Pino Firrarello – il cui candidato sindaco è stato battuto a Bronte, la sua città – non è stata una grande tornata elettorale. Ma i tonfi di Crisafulli e, soprattutto, di Crocetta coprono l’impasse del senatore catanese.

Ha vinto il Movimento 5 stelle. Vince il ballottaggio di Gela e sconfigge Crocetta a casa sua; ha stravinto il ballottaggio di Augusta e mette la prima donna sindaco nella cittadina aretusea. Aveva già vinto a Pietraperzia.

Che dire? Ieri sera, per molti, è cominciato il percorso verso il primo governatore 5 stelle. Giancarlo Cancelleri ha chiesto a Crocetta di farsi da parte. Non succederà. Ma certo i ‘grillini’ escono da questa tornata con una consapevolezza di forza che neppure il voto politico del 2013 seppe dare. E neppure quello regionale del 2012.

Il centrodestra ha vinto a Barcellona, Licata e, tutto sommato, Enna (anche se qui, nei fatti, s’è trattato di un referendum cittadino su Crisafulli) ma resta ancora ‘nave senza nocchiero e in gran tempesta’ perché non si capisce da chi è fatto, chi ne sono i leader e cosa vuole fare. Per il momento, si accontenta di esultare delle sconfitte di Crocetta e del Pd. Troppo poco per ambire a governare la Sicilia e, meno che meno, l’Italia.

Il Pd, infine, deve pensare molto. Deve pensare a Ispica, l’unico comune siciliano dove ha fatto le cose perbene, s’è presentato con un candidato sotto il simbolo ufficiale, non ha fatto pastrocchi ed alleanze pasticciate ed ha vinto con Pierenzo Muraglie. Ma deve pensare soprattutto a quello che è successo nel Paese e a quello che è successo nel resto della Sicilia. Se quelli del Pd continuano a litigare fra di loro, ottengono il nulla o poco più. O si danno una mossa o rischiano di affondare ancora. E la prima mossa in Sicilia che si deve dare il Pd, è quella che riguarda il governo della Regione. Perché il voto di Gela lo ha urlato ed altrove le urne lo hanno detto: Crocetta non ha consenso. E la cosa non può più essere taciuta.

Ed anche se i 90 all’ARS augurano lunga vita al Governatore, perché dalla sua permanenza a Palazzo d’Orleans dipende quella loro, lautamente retribuita, sugli scranni di Sala d’Ercole, la Sicilia e i Siciliani non vogliono più sottostare a tutto questo. I Siciliani, anche stavolta, hanno preferito restarsene a casa piuttosto che andare alle urne. Non si tratta di numeri e percentuali, ma di un segnale ormai costante: la gente non crede più alla politica. E, continuando ad essere governata male, ci crederà sempre meno.