Modica, un corso di formazione per settanta insegnanti alla Casa don Puglisi

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“C’era una volta” … La fiaba resta un momento alto della vita, che fa ritrovare attorno a simboli e figure da cui apprendere sapienza per la vita. “La chiave d’oro”, per come è collocata nelle varie edizioni delle raccolte di fiabe dei fratelli Grimm, vuole dare il senso che hanno le fiabe. Una fiaba con cui si è aperto il corso di formazione per insegnanti promosso insieme dall’Istituto comprensivo “Santa Marta-Ciaceri” e dalla Fondazione di comunità Val di Noto e collocato nell’ambiente bello della Casa don Puglisi, partecipato da 70 insegnanti (ma anche questa volta con altre richieste e nella prima sera con tante altre presenze).

Una fiaba, “La chiave d’oro”, che racconta la vita, che deve misurarsi con tanto freddo come accade al protagonista che deve uscire a cercare legna perché c’è freddo e fuori c’è la neve. Una necessità, ha commentato Antonio Sichera (docente di lettere nell’Università di Catania), come le necessità che tutti conosciamo nella vita. Ma dentro questa necessità di apre uno spazio di libertà: il ragazzo decide, in modo un poco illogico, di non tornare a casa e accendere un fuoco. Per questo scava e arriva alla terra, arriva a ciò che sta sotto, a ciò che è essenziale. E trova un piccolo scrigno: l’essenziale è invisibile agli occhi, l’essenziale è nell’ordine della piccolezza, l’essenziale ci fa ritrovare piccoli. Ed ecco che pensa – meglio “crede” – che, laddove c’è uno scrigno, ci sarà un tesoro e cerca la chiave. La trova: una piccola chiave d’oro. Gira “felicemente” e … la fiaba ci lascia con lo stupore di quello che sarà dentro ma che resta non detto. Perché l’importante è aver creduto e aver trovato la propria chiave, l’importante è ritrovare la fede in un tempo di tanta rassegnazione e la propria via in un tempo di tanto appiattimento. “E così, con i bambini, impariamo a ricominciare: loro sono i nostri maestri!” – ha concluso Sichera dopo aver fatto vibrare rigo dopo rigo, partendo dal testo tedesco, la fiaba.  Ma come sostenere la crescita dei nostri bambini? “Spegnendo la tv e raccontando le fiabe” – ha detto Marcella Fragapane, esperta in linguaggi artistici e narrativi, da 12 anni presente a Modica in tanti momenti formativi e nel pensare alle feste della città come momenti di crescita.

Ha parlato con il cuore, e molti si sono commossi: “Dobbiamo rallentare, dobbiamo chinarsi ai piedi dei nostri bambini, dobbiamo con loro immedesimarci nelle fiabe e dobbiamo con le fiabe farli crescere nutrendo il cuore, donando l’essenziale e non semplici beni materiali che non danno felicità. Dobbiamo con loro e per loro “esserci”, “occhi negli occhi”. Perché, ancora, le fiabe? Perché tutti i dolori della vita sono più sopportabili se inseriti in una storia, diversamente la vita diventa una sequenza intollerabile di eventi”. E ancora: “Vogliamo adultizzare il bambino mentre noi restiamo infantili, e invece dobbiamo essere adulti e lasciare che il bambino sia se stesso, ci doni la sua meraviglia”.

E qui si è inserito, con la sua grande sapienza e autenticità, padre Giovanni Salonia. Che ha focalizzato il suo intervento su quella che è la domanda fondamentale della vita: “Chi siamo noi?”. Sottolineando quanto sia importante l’interrogativo, come siamo ognuno di noi anzitutto una “domanda”. Perdere la domanda significa perdere la creatività. E cosa vuol dire educare? Aprire strade. E aiutare a comprendere, come tra obbedienza del passato e autonomia moderna, la chiave di volta della vita diventa la relazione. Che nella fiaba diventa la ricerca del fuoco, la ricerca del calore, la ricerca delle relazioni. Che diventano possibile se aiutiamo ogni bambino a collocarsi nel mondo dicendo “Io posso”. Che nella fiaba diventa anche capacità di connessione e impegna tutti (compare un noi nel “dobbiamo attendere” finale) all’attesa, a vivere l’esperienza come un viaggio e il viaggio della vita come un cammino pieno di esperienze. E è stata per tutti arricchente l’esperienza di un corso di formazione che, come ha detto fin dall’inizio il dirigente, diventa bello perché nasce dal territorio e raccorda scuola e territorio. “Un corso in cui la prima competenza che si impara è la sapienza e serietà della vita, ritrovandosi nel racconto comunità unita (mentre le sintesi dividono”) – ha ancora detto Salonia, e riscoprendo – ha sottolineato Sichera – “la scuola come spazio di mediazione che ci evita di tutto ridurre a paure che spingono ad affidarsi ad un capo”. Da qui la percezione che, insieme al senso di famiglia e alla comune tensione educativa, momenti come questi rigenerano dal basso la città e il senso vero della politica come ricerca del bene comune, partendo dai piccoli.