Lo psicologo Salonia: “No al contagio emotivo e all’amplificazione delle paure”

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Evitare di alimentare il continuo dibattito pubblico sul Coronavirus, generando fenomeni di contagio emotivo e amplificazione delle paure. Fare lo sforzo di attenersi unicamente alle informazioni scientifiche disponibili e alle precauzioni suggerite, allontanando accentuazioni enfatiche sia di tipo ottimistico che pessimistico. E, in questi giorni soprattutto, fare attenzione ai bambini, contenendo quei comportamenti che potrebbero trasmettere loro un’angoscia ingiustificata.

Sono i suggerimenti dello psicologo e psicoterapeuta, direttore dell’Istituto Gestalt Therapy Kairos, Giovanni Salonia, dinanzi alle modalità con cui si sta esprimendo in tutta Italia – e in questi giorni in particolare in Sicilia – la reazione collettiva alla diffusione del Covid-19, tra le altre cose con una pericolosa “caccia all’untore” che suggerisce quasi la necessità di ricercare un nemico pubblico, condizione tipica delle situazioni di “terrore”.

Il fenomeno Coronavirus sembra essere iniziato come panico ma tende a diffondersi come terrore”, conferma Salonia: “L’importanza di dare un nome esatto alle cose che accadono facilita di molto il modo di affrontarle. E i nomi che assume la paura sono molteplici

Si parla di paura quando si teme un oggetto ben preciso e chiaro (ad esempio: ‘ho paura del buio’, ‘ho paura degli animali feroci’, ‘ho paura del fuoco’): in queste situazioni gli uomini si uniscono e cercano un capo, una figura che viene individuata come competente, a cui si ubbidirà perché avrà in mano la vita di tutti. Si parla di fobia quando la paura non è proporzionata all’oggetto esterno: in questo caso si tratta di un’esperienza personale, che attiva una soggettiva e distorta percezione del pericolo. Si parla di crisi di panico quando la paura diventa una sensazione intensa di stare morendo di fronte ad un oggetto che sembra travolgerci, e si parla di attacco di panico quando questa sensazione di star morendo si verifica in modo inatteso e senza una motivo tangibile. Quando il panico riguarda un evento che colpisce la collettività (nel caso di una calamità naturale, ad esempio) allora si ha la sensazione di essere gettati nel pericolo senza alcuna protezione e, senza la presenza di un esperto che gestisca l’emergenza, si corre il rischio che questo si ingigantisca e induca le persone a comportamenti irrazionali e a tratti anche rischiosi.

La sensazione di terrore è ancora diversa, perché la avvertiamo quando ci sembra di correre un grave pericolo, ma senza avere davanti il volto del nemico: non sappiamo da dove arriverà quindi non abbiamo strumenti per difenderci e restiamo come paralizzati (si pensi a quello che è accaduto l’11 settembre e subito dopo). In questa condizione si sviluppa, sì, un particolare ‘senso del noi’ ma esso, differentemente dal caso della paura collettiva in cui condurrebbe alla ricerca di un capo, si esprime nella ricerca del nemico da identificare, per potersene proteggere: è lo stesso fenomeno che spinge talvolta chi comanda a creare ‘l’untore’ (il nemico da additare, appunto) ritrovando così il proprio consenso e la propria funzione di guida (si pensi ai veri e propri untori ai tempi della peste, ai cosiddetti ‘Stati canaglia’ o, per tornare all’esempio dell’11 settembre, ai video su Osama Bin Laden, per finire sul fenomeno dell’immigrazione)”.

Proprio questa sembra essere, appunto, la fotografia dell’attuale condizione in Italia, in cui la figura dell’untore si va spostando dai cinesi della porta accanto ai pazienti zero agli aerei da evitare: “Un impulso collettivo, un fenomeno tipico della folla, che però vediamo insinuarsi ovunque, da chi scrive sui social a chi lo fa sulla stampa”. 

E da qui, i suggerimenti dell’esperto: “Non parlare così tanto e a tutti i costi del Coronavirus potrebbe rivelarsi utile e opportuno – spiega Salonia – perché, contrariamente a quel che accade nelle situazioni di non-emergenza in cui si invita chiunque a esprimere la propria paura per liberarsene, condividere adesso questo tipo di sentimenti serve solo ad amplificarli producendo panico o, per l’appunto, terrore. È affrontare la situazione e parlarne in modo neutro, attenendosi alle informazioni scientifiche, che riduce questi aspetti emotivi: è importante attenersi alle informazioni scientifiche, verificandone la fonte, leggere le statistiche in modo critico, senza enfasi pessimistiche ma anche senza paragoni ottimistici e non realistici (quelli con l’influenza, ad esempio, diventano fuorvianti se non si precisa entro quali limiti di tempo si sono misurati i contagi e i decessi), senza dire della necessità di stare attenti alle prassi di igiene e alle misure di precauzione e sicurezza suggerite dalle autorità sanitarie”. 

Un’attenzione particolare va riservata ai bambini”, conclude Salonia: “Come si sa, se gli adulti non riescono a contenere la paura dei bambini e la propria, nei più piccoli spesso si determina un vissuto di terrore e di angoscia. La presenza dei due genitori può garantire, dentro vissuti di cogenitorialità, il contesto adeguato per offrire ai bambini sia il contenimento della paura sia una descrizione tecnica – e adeguata al loro linguaggio – della complessità della situazione”.