Nuovo statuto Consulta femminile. Serve una marcia in più

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Domani 15 febbraio il Consiglio comunale di Ragusa dovrà approvare statuto e regolamento nuovi della Consulta femminile, l’organismo istituzionale costituito nel 1995 che, negli ultimi tempi, ha attraversato una fase di quiescenza in seguito alle dimissioni della presidente e di alcune consultrici ad agosto 2021 e in attesa dell’aggiornamento delle norme statutarie. Di questo immobilismo e delle sue ragioni si è già parlato QUI lo scorso 27 gennaio.

Oggi, alla vigilia del voto dell’aula consiliare, è utile esaminare i due nuovi testi e confrontarli con quelli attualmente in vigore per comprendere se e in quale direzione siano stati fatti passi avanti rispetto alla precedente configurazione dell’organismo consultivo femminile.

I punti salienti che emergono dal raffronto sono: il dimezzamento delle consultrici delegate da ciascuna associazione femminile, partito, sindacato e associazione di “extracomunitari”, che passerebbero con il nuovo statuto da due a una; la riduzione della durata in carica della presidente e vice-presidente da 5 anni a 3 con il limite di due mandati; l’istituzione di un collegio di garanzia e l’eliminazione del direttivo; l’eliminazione del voto a maggioranza in favore di quello all’unanimità; la scomparsa della voce relativa al contributo annuo da parte del Comune.

Di dette modifiche, due destano qualche preoccupazione per il possibile depotenziamento di un organismo che rischia di diventare meno rappresentativo, per via della riduzione numerica, e meno autonomo, non disponendo più di risorse economiche certe. Un cambiamento che potrebbe rivelarsi peggiorativo, dunque, anziché determinare la promozione e l’efficientamento auspicati.

Questo è quanto prevedono lo statuto e il regolamento che il Consiglio dovrà votare domani pomeriggio. Quello che però salta agli occhi già a una rapida lettura è ciò che manca e che invece dovrebbe esserci.

Manca un deciso passo avanti verso l’inclusività invocata da più parti, soprattutto dopo le polemiche dell’anno scorso riguardo alla possibilità di ammettere associazioni le cui finalità siano coerenti con quelle della Consulta ma alle quali possono aderire anche uomini. Il nuovo statuto lascia inalterata la composizione dell’organismo, riprendendo letteralmente la norma contenuta nel testo dell’’85, secondo cui la Consulta è costituita dalle rappresentanti di associazioni “femminili”, sindacati e partiti, e conservando un’idea di partecipazione legata alle forme più istituzionalizzate ed elitarie. Nel nuovo regolamento compare un’apertura ad altre forme di organizzazione sociale e politica nell’art. 1, dove si legge che la Consulta “è aperta a quelle altrimenti organizzate che si riconoscano nelle finalità espresse dallo Statuto”. Sarebbe opportuno chiarificare in seno alla discussione che si terrà domani in Consiglio se le locuzioni “è costituita” ed “è aperta” si equivalgano, e cioè se con questa formula vaga si intenda effettivamente allargare la partecipazione a tutta una serie di soggettività nuove quali le studenti delle scuole secondarie e universitarie, le giovani donne italiane e straniere che aderiscono ad associazioni e movimenti misti che si occupano di genere, o che lavorano in cooperative sociali che si occupano di migrazioni, violenza, formazione e orientamento al lavoro, i gruppi di mamme non organizzate in associazione e le donne in genere – non occupate, lavoratrici, imprenditrici, professioniste, precarie – che potrebbero voler partecipare al di fuori di un’appartenenza politica o associativa specifica.

Manca ancora qualsiasi riferimento alle associazioni Lgbtiq. Le istanze dei movimenti delle donne e di quelli Lgbtiq si sono intrecciate negli ultimi decenni in modo sempre più fitto sotto l’ombrello del genere e attraverso approcci teorici e applicativi intersezionali. Parlare nel 2022 di “problemi della condizione femminile, tenendo presente la dignità ed i valori di cui è portavoce la donna, sia nell’ambito della famiglia che nella società” appare non soltanto riduttivo ed escludente, ma anche poco aderente alla realtà sociale per come si è trasformata dall’’85 a oggi.

Più in generale, manca una revisione del linguaggio con cui sono stati redatti statuto e regolamento. Tralasciando la scivolata sugli “extracomunitari”, già presente nel testo precedente, l’impressione che si ricava è quella di un sostanziale copia-incolla dal vecchio al nuovo, senza che in mezzo ci siano stati alcuna riflessione o approfondimento.

Almeno su questi aspetti fondamentali sarebbe auspicabile intervenisse il Consiglio comunale in sede di votazione per apportare gli emendamenti necessari a dare una marcia in più, nella sostanza come nel linguaggio, a un organismo che ha finalmente l’occasione di rinnovarsi, aprirsi e acquistare capacità di intervento ad ampio raggio.