Le mie domeniche di ieri e di oggi

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In certe domeniche di marzo col sole andavamo a Modica. Pranzavamo in un ristorante che amammo a lungo. Mio padre aveva sempre una fame che non sapeva trattenere, i bambini saltavano sulle sedie e noi avevamo camicette dalle spalle alte e gonfie. Modica brillava. L’odore del coniglio alla cioccolata, la ricotta profumata di cannella, il dopopranzo pesante che induceva al sonno, la voglia di ritornare a casa e pensare ai giorni che sarebbero venuti. Il dolore alla schiena che bussava insistente, il divano ad accogliere la fine della domenica, il bagliore degli occhi dei figli, gli abiti smessi e buttati sulla sedia, le scarpe in un angolo, il libro e i giornali in attesa. L’amore non c’era. Era un mistero.

La domenica penso ai miei amici, conoscendone le abitudini. E quindi li immagino in luoghi loro amati, facendo ciò che gli piace, in compagnia o da soli. Gli sguardi, le preferenze, il tempo che vogliono coprire. Non so però dei pensieri, ma del loro agire. E resto qui, in queste stanze, senza esserci. Pacificamente, riempiendomi del loro fare, del vedere, godendone. Così sfilano nei miei pensieri ad uno ad uno, con un piacere grande mio. Poi vado con la mente ai miei figli lontani e allora sì che mi coglie la tristezza sottile. Una frustrazione immensa che cerco di contenere. Oggi al mare qui tutti mangeranno un gelato da passeggio, sperando nell’estate. Io tiro su le coperte e cerco di sorridere.
Anche se dico spesso che io non ho domeniche, perché tutti i giorni sono uguali, devo ammettere che è giornata diversa anche per me. Il silenzio della casa, la badante che manca, i pensieri che si affollano piano piano, il loro riordino nella mente, la settimana trascorsa che va ridimensionata, i libri da guardare, la vita tutta che scorro in film nella non dimenticanza. La forma della preghiera che vorrei. I quotidiani e i loro inserti aperti sulle lenzuola. Gli altri cui pensare, cui telefonare. La tristezza che nel pomeriggio prende anche me. Il desiderio di affetto, le voci che vorrei risentire. La tavola con il dolce e il passato che entra nel mio letto scomposto. E il dolore che spesso aumenta in questa giornata di freddo. Il bisogno di ogni cosa e il non saper essere cresciuta davvero. L’essere tornata bambina come se non fossi stata mamma e non avessi cresciuto i miei figli, non avessi visto cessare i miei genitori e il mio lavoro. Tutto questo è la domenica, non una passeggiata non una gita non un ristorante non il mare non la campagna, non più. Fuori sento cani abbaiare, i loro padroni che ridono, la auto lente, marzo che sta per finire.