Adriana Faranda a Modica: uno sguardo sul presente

23

Alcuni sono venuti solo per darle un abbraccio, moltissimi per farle domande custodite per decenni nel cuore, tutti per apprezzare il lavoro di una donna che è stata, in tutti i travagliati momenti della vita, innanzitutto un’artista. E Adriana Faranda, ieri sera a Modica per inaugurare la sua mostra “Curve di transizione”, alla libreria Mondadori, ha raccontato proprio di come la valigetta con i colori non l’abbia abbandonata mai, nemmeno negli anni delle Brigate rosse, nemmeno nei giorni della clandestinità, nemmeno nella lunga reclusione in carcere.

Per uno scherzo del destino, pochi minuti prima del suo arrivo, tra gli scaffali pieni di libri e le sue opere già pronte per il vernissage, c’era stato Severino Santiapichi, l’ormai ottuagenario giudice sciclitano, proprio colui che guidò in Corte d’Assise il primo processo contro le Brigate Rosse per l’omidicio di Aldo Moro. Guardare con gli occhi della testimonianza diretta quel pezzo della storia d’Italia, ieri è stato innanzitutto sentir ribadire alla Faranda ciò che da allora non si è più stancata di dire: la convinzione che fu commesso un errore e la certezza dei suoi motivi di dissociazione dalla lotta armata.

Ma se anche questo pezzo di storia, della sua storia personale, non potrà fare a meno di portarselo dietro, sempre e ovunque, Adriana Faranda oggi porta se stessa e ciò che ha da dire sulla società presente attraverso le opere dell’artista. Quelle di “Curve di transizione”, nel caso specifico: una galleria di immagini digitali, ideate e realizzate attraverso la rielaborazione creativa di ritratti fotografici di Gerald Bruneau.

Viviamo in una fase di transizione – ha spiegato ieri la Faranda -. L’avvento di internet nella vita quotidiana, il gioco identitario sempre più spinto nei mondi paralleli delle realtà virtuali e la cultura della simulazione stanno modificando irreversibilmente non soltanto il concetto ma la struttura stessa dell’identità. Negli anni in cui sono nata, l’identità poggiava ancora su una fisicità che si evolveva seguendo leggi naturali e poggiando su relazioni sociali concrete e riconoscibili.

Come rappresentare tutto questo in immagini? Adriana Faranda sceglie la maschera e – nello specifico – una maschera di metallo: “Superficiale, ho pensato, come superficiale è lo spazio che oggi si percorre – anzi si corre – e in cui la profondità è stata sostituita dall’ampiezza.
Sottile, come il confine che ormai separa la realtà dalla finzione. Mobile, come un abito che si cambia e che ci si scambia per essere sempre nuovi e diversi. Duttile, come la forma che ci si dà per adeguarsi al vento delle circostanze. Splendente, come la pelle che si indossa per compiacersi e per piacere. Smontabile e rimontabile, come un collage dove sostituire un pezzo è già una nuova immagine. E infine metallica, perché i metalli mutano al calore. Con i loro punti di fragilità, e le loro curve di transizione. Proprio come l’identità”.

La mostra alla galleria Mondadori resterà visitabile fino al 23 novembre.