“240 chilometri al giorno per andare a lavoro”. Ma è senza un braccio

46

rosario basile 4E’ il 24 luglio del 2007. Saro è un ragazzo modicano di 27 anni, ha una fidanzata, indossa la divisa bianca della Guardia Costiera e ha una grande passione per la moto. Tutto sembra andare a meraviglia quando però la sorte decide di accanirsi contro di lui. Mentre percorre con la sua amata moto la strada che da Modica porta a Marina, all’altezza di c.da San Filippo un’auto svolta a sinistra senza accorgersi del suo arrivo. L’impatto è violentissimo. Le conseguenze ancora di più. In un caldo pomeriggio di mezza estate la vita di Saro Basile è cambiata di colpo. Le conseguenze dell’incidente sono terribili soprattutto per il suo braccio destro che dopo 10 giorni di ricovero in ospedale non si muove più. Viene operato una prima volta per ridurre le fratture ma non basta. C’è bisogno di una visita neurologica perché è evidente che qualcosa non va. Il braccio sembra staccato dal corpo. A Roma gli viene diagnosticata una paralisi al plesso brachiale. In pratica dei cinque nervi che controllano i movimenti del braccio, quattro si sono staccati dal midollo osseo. “Appena il dottore ci ha comunicato la diagnosi, ci siamo guardati con Sara. Il primo pensiero è stato per lei. Le ho detto chiaramente che l’avrei capita qualora avesse deciso di lasciarmi per non affrontare una vita di sacrifici, perché era chiaro ormai che quella era la sorte che mi era toccata. Oggi siamo sposati e abbiamo avuto da 45 giorni la nostra Emma. Questa è stata la migliore risposta di mia moglie”. Comincia quindi un calvario per la famiglia Basile fatto di interventi, viaggi a Roma e fisioterapia. Qualcosa migliora ma non a tal punto da restituire a Saro la vita di prima: “Da un giorno all’altro la mia vita è cambiata. Quello che prima mi sembrava insignificante d’un tratto è diventato importante. Anche vestirsi, prendere un bicchiere d’acqua, correre, scrivere, tutte cose che diamo per scontate, sono diventate un’impresa. Però non sto qui a lamentarmi, c’è chi sta molto peggio di me. Invece io ringrazio sempre il Cielo per avermi donato mia moglie e la mia bambina. Avrei potuto morire quel giorno e adesso non sarei qui a godermi la mia famiglia”.  Le lamentele arrivano invece nel campo lavorativo. L’incidente ha infatti conseguenze anche sulla sua professione. Il Ministero delle Infrastrutture, da cui dipende la Capitaneria di Porto, non lo ritiene più idoneo al ruolo militare e lo passa tra il personale civile della marina militare del Ministero della difesa con un’invalidità del 67% e la legge 104 comma 3. Purtroppo in provincia non ci sono postazioni di personale civile della Marina, la più vicina è ad Augusta. E così cominciano i viaggi giornalieri verso la città megarese. Sveglia alle 5, un’ora di macchina e poi in ufficio fino al pomeriggio. “Dal 2007 al 2011 la mia vita è stata questa. Con un braccio sono stato costretto a guidare per 200 km al giorno. Uno stress psicofisico non indifferente. Per fortuna nel 2011 si presenta la possibilità del “comodato”, cioè essere prestato nuovamente al Ministero delle Infrastrutture e conseguentemente alla Capitaneria di Porto di Pozzallo. Due anni che però finiscono ben presto. Nel 2013, a scadenza del prestito, rifaccio la domanda per prolungare il comodato ma mi viene respinta. La spending review infatti ha imposto al Ministero delle Infrastrutture tagli al personale civile. Devo ritornare alla Difesa e quindi ad Augusta. Ricomincia il mio calvario. Mi suggeriscono di trasferirmi là ma come devo fare? Da solo non posso vivere e non posso neanche portare via da qua la famiglia visto che mia moglie lavora come avvocato e che abbiamo già acceso un mutuo per la casa dove viviamo, dopo esserci sposati nel 2010. Sono quindi ritornato a fare la vita di prima. Ho chiesto aiuto a tante persone, a politici, istituzioni. Mi guardano con pena ma nessuno ha il potere, o la volontà, di aiutarmi. Io potrei andare in qualsiasi ente essendo un operatore di amministrazione ma tutti dicono di essere al completo. Pensate che dovrebbero pagarmi solo il 10% del mio stipendio essendo il restante 90 sempre a carico del Ministero della Difesa. Rinuncerei pure a questo 10% pur di avvicinarmi a casa ma la legge me lo impedisce.  Voglio solo che mi sia data la possibilità di vivere una vita quanto più normale possibile, vicino a mia moglie e a mia figlia”.