Ebola fa paura? In Sicilia: “Nessun rischio”. Ecco come stanno le cose

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La prima cosa da sapere è che l’ebola non è dietro l’angolo. Ed è bene ribadirlo per evitare ipocondrie e psicosi collettive che, in questo caso specifico, ci metterebbero poco a trasformarsi in deliri xenofobi.

La seconda cosa da sapere è che sì, certo, anche qui – com’è successo in Spagna, com’è successo negli Stati Uniti – una coincidenza, una superficialità, una distrazione, potrebbero bastare a innescare il contagio. E allora è anche bene sapere come stanno le cose in Sicilia.

E allora, se è facile dire che la Sicilia è particolarmente esposta al rischio per via dei continui sbarchi di migranti provenienti in particolar modo dall’Africa (dove l’Organizzazione mondiale della Sanità calcola che entro Natale ci saranno tra i 20 e i 40 mila morti), è anche doveroso ricordare che l’ebola ha un tempo di incubazione tra i 15 e i 20 giorni e che quindi, ben conoscendo il tipo di viaggio affrontato da coloro che arrivano nella maggior parte dei casi fino in Libia per imbarcarsi verso le nostre coste, se ci fossero persone contagiate presenterebbero già quasi certamente i primi sintomi.

L’operazione Mare Nostrum, peraltro, prevede rigorosi protocolli circa i controlli medici, che avvengono già sulle navi della Marina, in mare aperto, prima che i migranti arrivino nei porti siciliani, oltre che poi al momento dello sbarco e nei centri di accoglienza .

Non c’è un rischio ebola che tocca in modo particolare la Sicilia. Sono attive da tempo misure eccezionali per il controllo degli immigrati che sbarcano nell’Isola. Controlli che sono già fortissimi e che verranno rafforzati. Ma questo non vuol dire che esista un problema Sicilia. Chi dice il contrario afferma una cosa infondata. Quindi nessun panico nè allarmismi”, ha detto infatti ieri il Presidente della Regione Rosario Crocetta, che tuttavia ha assicurato, insieme all’assessore alla Salute Lucia Borsellino “la convocazione immediata dei responsabili sanitari delle aree maggiormente interessate dagli arrivi di migranti, per attivare nuove e più incisive forme di controllo”.

E proprio ieri, in Prefettura, a Ragusa, è stato presentato un più generico piano sanitario di contingenza per i migranti, alla presenza del Prefetto Annunziato Vardè e del manager dell’Asp Maurizio Aricò: questa provincia, infatti, è stata scelta per realizzare questo confronto operativo su questo nuovo strumento di coordinamento tra gli enti. “È infatti, la collaborazione tra le Istituzioni pubbliche e le associazioni no profit – ha commentato il Prefetto Vardè – a permettere il funzionameneto della macchina dell’accoglienza durante gli sbarchi che nella provincia di Ragusa, hanno fatto registrare un numero eccezionale di presenze, con 96 sbarchi e oltre 23.000 migranti giunti al porto di Pozzallo dall’inizio dell’anno”.

Alla presenza dei vertici delle Forze territoriali di Polizia, della Capitaneria di porto di Pozzallo, di numerosi sindaci, del dirigente del Servizio provinciale del Dipartimento Regionale di Protezione Civile, di rappresentanti della Croce Rossa Italiana, del mondo del volontariato, del progetto”Praesidium”, di “Medici senza Frontiere e di “Medici per i diritti Umani”, il responsabile del settore Migrazione dell’Assessorato regionale alla Sanità e coordinatore del piano Francesco Bongiorno, insieme al direttore dell’Azienda Sanitaria Provinciale Maurizio Aricò, ha illustrato i contenuti del nuovo sistema operativo finalizzato ad affrontare al meglio gli aspetti sanitari del fenomeno connessi agli sbarchi. “Mediante un insieme coordinato di procedure certe e standardizzate d’intervento sanitario – ha precisato Aricò – monitoriamo i rischi correlati a varie malattie per prevenirne la diffusione, escludendo ogni possibilità di contagio“.

Ma se nonostante tutto questo dovessero davvero verificarsi casi di contagio in Sicilia, ci sono già 25 posti letto nei principali ospedali regionali attrezzati per il primo intervento: l’ebola, tuttavia, dev’essere necessariamente trattata nei centri specializzati per cui, dopo una prima fase di controllo e stabilizzazione, i pazienti andrebbero comunque trasferiti negli unici due centri nazionali di riferimento, che sono lo Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano.