La relazione del professore Ripamonti conclude il corso su “Preparare un tempo nuovo”

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«I millennials sono affamati di maestri, di modelli. Se non li trovano in giro finiscono per essere sedotti dai modelli che bucano di più nel mondo social, gli influencer. Se trovano maestri, modelli, una persona che pratica quello che dice, con coerenza, molto facilmente s’innesca una relazione educativa. I ragazzi hanno fame di autorevolezza, di persone che non pretendono di dirgli cosa fare ma che testimoniano». Ha parlato di pandemia e di resilienza, di crisi e di solidarietà il professore Ennio Ripamonti dell’Università cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Scienze della formazione, con laurea specialistica in Scienze pedagogiche e servizi alla persona e master in Competenze interculturali e integrazione dei minori. Con la sua relazione, tenutasi ieri su piattaforma on line, ha concluso il corso di formazione “Preparare un tempo nuovo” promosso dalla Fondazione di comunità Val di Noto, insieme all’Istituto di istruzione superiore “Galilei-Campailla” di Modica, per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado e per quanti operano nei campi educativo, civico, sociale e dell’economia civile. Tema dell’incontro di Ripamonti è stato: “La solidarietà che fa bene, a sé e agli altri”. Seguendo il solco della pedagogia dell’esempio, Ripamonti ha ribadito che i ragazzi «s’impegnano se hanno percezione d’impattare nella realtà. Si adoperano per quei progetti che hanno un impatto più concreto, dov’è visibile l’impegno di ognuno. Questi progetti catalizzano l’attenzione dei ragazzi, sono coinvolgenti. I ragazzi sono affamati di esperienze e di percezione di concretezza». E ancora: «È più probabile che si coinvolgano se la proposta è un’occasione di apprendimento, d’imparare qualcosa di nuovo. Se la proposta è un replicare forme di solidarietà di sempre, allora sono meno interessati». Attira i giovani non chi dice, ma chi fa e fa con passione. «Un fattore facilitante nell’impegno per gli altri e nella solidarietà è l’incontro appassionato con un testimone, un testimone coerente. Questa è la generazione del sentire, è percettiva: più che essere convinti da discorsi, i ragazzi chiedono di essere contagiati da pratiche. Annusano se la persone che propone qualcosa fa quello che dice e lo fa con passione». Punti che hanno suscitato un ampio dibattito. La relazione si era aperta con le parole del vice presidente della Fondazione di comunità Val di Noto, Maurilio Assenza, che ha ricordato le tappe del percorso iniziato con un incontro sul pensiero femminile, perché «possiamo avere uno sguardo diverso sulla storia, non uno sguardo attivistico, prepotente, ma uno sguardo di custodia della vita, della tenerezza, della pazienza, della delicatezza. Il tempo nuovo lo vorremmo preparare così, in Fratelli tutti il papa ci dice che anche la gentilezza ha una valenza storica e politica importante». Nell’introdurre il suo intervento, il professore Ripamonti ha parlato dell’attuale situazione di pandemia, come «macchina delle verità». «Stiamo assistendo a uno sconvolgimento dell’organizzazione del mondo come siamo abituati a viverlo. Questa pandemia – ha detto – mette a nudo le priorità, i valori personali e gruppali. La solidarietà e la comunità non sono solo due valori, ma due orizzonti e due modi di approcciare, e non è scontato che si risponda, in questi momenti, con l’apertura. Stiamo assistendo a comportamenti anticomunitari, antisolidali». Un’emergenza sanitaria che racchiude in sé tanto altro. Una ‘policrisi’, con impatti di tipo sociale, economico, educativo, culturale, psicologico. Citando un autorevole studio tedesco, Ripamonti ha spiegato che, sotto l’aspetto psicologico, le più provate dall’impatto pandemia non sono le persone più anziane, ma quelle giovani, dai 20 ai 40 anni e le donne con bambini. Dinanzi a questa situazione di ‘policrisi’ le reazioni sono diverse: «C’è chi pensa a sé stesso, alla propria categoria, in una forma quasi corporativa che rivendica la libertà individuale a discapito degli altri e chi invece si apre anche a nuove forme di presenza». E ancora: «Alcune persone, alcuni gruppi e comunità locali sono riusciti a connettere problemi e persone, altri no. Ecco perché questa esperienza può rendere più uniti o essere disgregativa». Riprendendo l’interrogativo di una prestigiosa rivista su quando riusciremo a tornare a una vita ‘normale’, Ripamonti ha parlato della pazienza: «Chi educa oggi alla pazienza? Come fa a essere paziente un ragazzo di 17 anni?». Un interrogativo che ha poi aperto la riflessione su una sorta di ‘decalogo’ della pedagogia dell’esempio. Divenuto concretezza nell’esperienza degli studenti dell’Alberghiero di Modica che, come ha ricordato il professore Maurilio Assenza, hanno cucinato dei pasti per chi ha bisogno. «È stata una loro iniziativa, hanno sentito un bisogno di fare qualcosa di concreto», ha ribadito una docente. Un corso che si conclude, ma che apre a nuove riflessioni e a nuovi momenti di confronto.