“Lettera a mio padre”, ieri l’incontro con Barbara Balzerani

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Accade di rado di incontrare dal vivo un pezzo di storia del nostro Paese. Ѐ quanto è avvenuto ieri pomeriggio alla libreria Ubik di Ibla con Barbara Balzerani in occasione della presentazione del suo libro Lettera a mio padre, pubblicato da DeriveApprodi.

Un pezzo di storia, nel suo caso, tra i più controversi e difficilmente maneggiabili della Storia italiana del secolo scorso. Balzerani, com’è noto, è stata una militante politica della sinistra rivoluzionaria in quei decenni, gli anni Settanta e Ottanta, che hanno espresso il più alto livello di conflittualità sociale mai raggiunto in Italia. Dopo lo scioglimento nel ’73 di Potere Operaio, aderì alle Brigate Rosse divenendo dirigente della colonna romana e prendendo parte, tra l’altro, al sequestro Moro, su cui recentemente si è riacceso il dibattito con l’uscita di Esterno notte, la discussa serie televisiva di Marco Bellocchio.

Il romanzo presentato ieri è il settimo di una ormai lunga produzione letteraria, iniziata nel ’98 con Compagna luna, libro autobiografico che rappresenta il primo tentativo di ricomporre il vissuto di quegli anni e ricostruire non soltanto il percorso individuale dell’autrice, ma anche il contesto politico e sociale e l’esperienza comune alle migliaia di persone che furono coinvolte in quell’intensa fase di lotte.

Restituire un volto umano a quanti praticarono la lotta armata, spiegare il perché delle scelte ‑ da una prospettiva certamente non neutra, al contrario, a partire da un posizionamento esplicito ‑, è l’urgenza che muove anche la scrittura di quest’ultimo libro, una lettera postuma, molti anni dopo la sua morte, a un padre amatissimo e dal quale Balzerani fu amata con una speciale tenerezza rispetto agli altri fratelli e sorelle (basta il ricordo di Teresina, una bambola regalatale ogni anno, sempre la stessa, per l’Epifania, a svelare con un’immagine la povertà della famiglia e il privilegio della sua condizione di ultima nata).

Lettera a mio padre è dunque un tentativo di riconciliazione simbolica con un padre che non comprese mai la sua fede rivoluzionaria. Durante le rarissime volte in cui poterono incontrarsi nel parlatorio del carcere, questo “operaio senza fabbrica” sembra, nel ricordo che ci ha consegnato la figlia, più incredulo che turbato dalle sue scelte politiche, perché intimamente e irremovibilmente convinto dell’immutabilità delle cose.

Eppure dal padre, che fu un grande affabulatore, Balzerani ha appreso da bambina il valore del lavoro artigiano, dell’immenso patrimonio di saperi e pratiche di cui era detentrice la classe operaia e che ne costituiva la forza – patrimonio destinato di lì a poco a essere svenduto e dissipato con l’avvento di un capitalismo sempre più immateriale e spersonalizzante. Le trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro, e i tentativi di resistenza che oggi vi si oppongono, sono uno dei temi che percorrono il libro. La riflessione sul presente si alterna al dialogo interiore dell’autrice, in uno sforzo instancabile di fare i conti con i lasciti di una storia, quella personale e quella collettiva del Novecento, che non procede linearmente ma per crepe e fratture, alcune delle quali destinate a rimanere insanabili.

La scrittura di Balzerani, estremamente densa e affilata come l’ha definita ieri sera Silvia De Bernardinis, che insieme a Sandro Vero ha dialogato con l’autrice, esprime una potenza di pensiero e una lucidità di analisi non comuni oggi, in un panorama editoriale che sembra aver abdicato alla sua funzione, rinunciando alla complessità e preferendole la via retta della semplificazione e dell’omologazione culturale.