Lettera a mio figlio Ennio

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E’ sempre  triste settembre. Ha sempre un colore strano, un sapore amaro…Quasi di pianto inespresso, tenuto nascosto per non far vedere a nessuno quanto sia diverso il volto di chi soffre di un male che non ha cure, che non conosce farmaci, che non conosce conforto. Si vive ogni giorno quasi come fosse un dovere, o forse è ormai solo un dovere, un imperativo morale che ti vieta di guardare la verità di ciò che dentro si prova, anche dopo sette anni…Ma cerco ancora le parole e gli aggettivi per raccontare, per descrivere quello che è accaduto da quando te ne sei andato. Ed io non so dove. Si vive con il terrore di dimenticare il volto, l’espressione, la voce. Soprattutto la voce, quella che sentivo ogni mattina al mio risveglio quando allegro ti affacciavi al nuovo giorno, alla tua vita giovane e spensierata. Continuo a cercarti nelle foto, nei tuoi abiti ancora tutti lì negli armadi, nei cassetti, tra i libri e i quaderni. A volte penso di averti solo sognato e poi, svegliatami, tu sei scomparso lasciando un vuoto incolmabile, doloroso. Ma la percezione di te resta e fa ancora più male. Ecco Ennio. Volevo dirti solo questo. Volevo farti sapere che in un modo, o in un altro, tu non muori mai.

Laura