Arrestati altri due scafisti. I migranti erano “compagni” dell’eritreo ucciso

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scafisti

La Polizia di Stato di Ragusa – Squadra Mobile – collaborata dalla Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza e dai Carabinieri di Modica, ha eseguito il fermo di OMAR Ceesay, nato in Gambia l’01.01.1995 e BAH Aliou, nato in Gambia il 01.01.1995, in quanto responsabili del delitto previsto dagli artt. 416 C.P. e 12 D.Lgs.vo 25.7.1998 nr. 286, ovvero si associava con altri soggetti presenti in Libia al fine trarne ingiusto ed ingente profitto compiendo atti diretti a procurare l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari di varie nazionalità. Il delitto è aggravato dal fatto di aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale in Italia di più di 5 persone; perchè è stato commesso da più di 3 persone in concorso tra loro; per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale delle persone esponendole a pericolo per la loro vita e incolumità ed inoltre per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state sottoposte a trattamento inumano e degradante.
Gli arrestati hanno condotto dalle coste libiche a quelle italiane un fatiscente gommone carico di 108 migranti provenienti dall’Eritrea, Mali, Nigeria, Etiopia e Sudan.

I FATTI

alle ore 07,30 del 06/05/2014, su disposizione la fregata “SCIROCCO” della Marina Militare italiana dirigeva la proprio rotta verso due natanti in difficoltà così come venivano segnalato mediante apparecchiatura satellitare. Nelle ore successive venivano soccorsi due gommoni il primo dei quali composto da 110 extracomunitari, di cui 81 uomini, 17 donne, 11 minori.
La nave, così come riferito ieri verificava che nel secondo gommone soccorso, tra i 103 soggetti ve ne era uno senza vita, il cui cadavere veniva anch’esso trasbordato sull’unità militare.

ORDINE PUBBLICO ED ASSISTENZA

Le operazioni di sbarco avvenute in data 7 maggio al porto di Pozzallo venivano coordinate dal Funzionario della Polizia di Stato della Questura di Ragusa responsabile dell’Ordine Pubblico. operazioni alle quali partecipavano 30 Agenti della Polizia di Stato, altri operatori delle Forze dell’Ordine, la Protezione Civile, la Croce Rossa Italiana ed i medici dell’A.S.P. per le prime cure.
Completate le fasi di assistenza e identificazione da parte dell’Ufficio Immigrazione della Questura, tutti i migranti venivano fatti entrare al C.P.S.A. di Pozzallo (RG).

LE INDAGINI

Gli uomini della Squadra Mobile della Polizia di Stato, collaborata da Carabinieri e Guardia di Finanza si sono occupati non di uno unico sbarco ma di individuare gli scafisti di tre imbarcazioni diverse, nel caso di specie di tre gommoni soccorsi dalla Marina Militare.
Le difficoltà in questi casi aumentano a dismisura perché bisogna far conciliare esigenze di ordine pubblico e quelle di Polizia Giudiziaria. All’interno del centro difatti, fino a quando non sono state completate le attività d’indagine, gli uomini della Squadra Mobile hanno tenuto separati i tre gruppi di migranti con il benestare dell’Ufficio di Gabinetto che predispone i servizi di Ordine Pubblico.
Le attività d’indagine iniziate sin dai primi istanti in data 7 maggio alle ore 13 (momento dello sbarco), non si sono mai interrotte per 30 ore, al fine di identificare prima gli scafisti del gommone dove vi era il giovane migrante ucciso e successivamente dell’altro gommone.
Dopo decine di ore di lavoro estenuante e la diffidenza e forte paura dei migranti che con il passare delle ore aumentava per l’incertezza di cosa gli sarebbe accaduto in futuro una volta in Italia, gli investigatori riuscivano a vincere il silenzio identificando grazie all’aiuto dei testimoni gli scafisti anche di questo secondo gommone.
Dalle indagini è emerso con certezza che i migranti dei due gommoni soccorsi ed oggetto d’indagine si trovavano tutti nello stesso capannone in Libia e tutti insieme erano stati trasportati in spiaggia su furgoni per poi proseguire a piedi per più di 10 km al fine di eludere eventuali controlli.
Tutti venivano picchiati senza alcun motivo in ogni momento della giornata.
In questa occasione raccogliere in un verbale le dichiarazioni dei testimoni è stato particolarmente complesso in quanto i ragazzi ascoltati erano molto amici del giovane deceduto, tanto che hanno aiutato gli investigatori della Polizia di Stato a risalire all’identità del loro amico ed a contattare la famiglia eritrea che è stata subito informata per il tramite dell’Ambasciata.
Anche questo gruppo di migranti ha riferito che i libici continuavano a picchiare tutti al momento di salire sui gommoni comprese le donne. I colpi inferti con dei grossi bastoni in legno erano indirizzati alla testa, al collo, alle gambe in pratica in ogni parte del corpo.

LE TESTIMONIANZE

I racconti dei migranti fondamentali per le indagini:

Dopo essere stato per anni in Sudan sono andato in Libia ed ho trovato casa a Bengasi, sempre unitamente ai connazionali che con me erano riusciti ad entrare in tale nazione. Nella casa di Bengasi ho incontrato un amico di Mostafa, di anni 25, persona questa che conoscevo sin dalla mia infanzia essendo del suo stesso paese. Tale fatto mi ha notevolmente agevolato ai fini dell’organizzazione del mio viaggio clandestino in Italia, in quanto lui era giunto prima di me in Libia ed aveva già preso contatti con elementi delle organizzazioni criminali che operano i viaggi clandestini via mare verso l’Italia.
Fu proprio lui a farmi conoscere i soggetti inseriti in una delle suddette organizzazioni ch risposero che era prossima la partenza di un barcone per l’Italia per cui avremmo potuto trovare posto su tale natante. Il costo della traversata era da intendersi in dollari 1.000 USA.
Un giorno ci hanno portato in un capannone dove non erano concesse forme di libertà nel senso che nessuno di noi poteva recarsi all’esterno di esso. Il capannone era dotato di un solo bagno e per tale motivo vi erano seri problemi di igiene. Relativamente alla nostra alimentazione provvedevano i libici con un pasto al giorno costituito da riso. I libici erano sempre armati di pistole e la loro vigilanza su di noi era costante. Guai a coloro che avanzavano pretese di qualsivoglia natura, situazioni queste che davano sfogo a reazioni ingiustificate dei libici che ci picchiavano con bastoni.
Una notte venivamo divisi in due gruppi e mentre il primo gruppo partiva, il secondo gruppo rimaneva all’interno del capannone in attesa di partire anch’esso in un’ora successiva verso la costa libica.
Mostafa faceva parte del secondo gruppo e quella è stata l’ultima occasione dove ho visto il predetto in vita. Ci siamo salutati e ripromessi che ci saremmo rivisti in Italia. Era un bravo ragazzo, direi d’oro, dotato di elevato senso di altruismo. Sovente mi raccontava della sua famiglia e dei momenti più felici vissuti nel corso della sua infanzia.
La partenza dal capannone avveniva con l’ausilio di un furgone dotato di cassone telonato sul quale siamo stati fatti salire 50 per volta. Tale mezzo percorreva per mezzora una strada fino a giungere in un posto dove tutti quanti venivamo fatti scendere ed incamminare in direzione della costa. Giunti in spiaggia il secondo gruppo di di compagni di viaggio si ricongiungeva a noi del primo gruppo e sul gommone vedevo prendere posto le donne e i bambini che erano con noi.
Successivamente è toccato a noi uomini salire sul gommone e nel corso di tale fase non sono mancati atti di violenza gratuita che i libici assumevano nei nostri confronti che continuavano a picchiarci in qualsiasi parte del corpo con grossi bastoni, cosa che avveniva anche quando riuscivamo a raggiungere il gommone.
Le condizioni del mare erano buone e vigeva l’assoluto silenzio, fatto questo determinato dall’elevato stato di stanchezza nonché, indiscutibilmente, dalla frustrazione di essere stati bastonati.
Dopo ore di navigazione notavo l’avvicinarsi di un’imbarcazione militare italiana ed ho pensato a quanto raccontatomi dai libici all’interno del capannone relativamente al soccorso in mare da loro programmato.
Nelle ore successive tale unità navale soccorreva anche il secondo gommone partito dalla costa libica ed è stato per me drammatico sapere che il mio amico Mostafa era tra i presenti di quel battello, ma privo di vita.

LA CATTURA

Le indagini condotte dagli investigatori durate 30 ore continuative, hanno permesso anche questa volta di sottoporre a fermo di indiziato di delitto i responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di essersi associati con dei libici al momento ignoti, ovvero coloro che hanno ucciso il giovane eritreo.
Al termine dell’Attività di Polizia, gli arrestati sono stati condotti presso il carcere di Ragusa disposizione dell’Autorità Giudiziaria Iblea anch’essa impegnata sul fronte immigrazione costantemente.
In corso complesse indagini con i gruppi di investigatori presenti in territorio estero sugli altri componenti dell’associazione a delinquere di cui i fermati fanno parte responsabili del reato commesso in Libia.

L’ATTIVITA’ POLIZIA GIUDIZIARIA CONTINUA

Il medico legale ha già iniziato l’esame autoptico che conferma quanto già presunto con l’ispezione cadaverica fatta nei primi istanti, adesso dovrà fare altri accertamenti sul corpo del giovane eritreo.
Al fine di avere una compiuta identificazione sono fondamentali i rapporti che la Polizia di Stato sta tenendo con il Consolato Eritreo in Italia che a breve invierà tutti i documenti.
La famiglia è stata informata della tragica morte del giovane e sta dialogando con il Consolato per l’affidamento della salma.