Metodo Stamina: la piccola Rita e quel diritto negato alle cure

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Le testimonianze di affetto e di cordoglio da tutta l’Italia, il dolore dell’intera comunità iblea: la drammatica morte della piccola Rita è destinata, purtroppo, a far discutere. La bimba modicana di 2 anni e mezzo è la prima paziente di Vannoni, per la quale era stato tentato il metodo Stamina all’ospedale di Brescia, a perdere la vita.
E proprio su questo aspetto della vicenda (il diritto alle cure, pur se legate a un controverso metodo scientifico) è intervenuto, dal suo blog su La Repubblica.it, il giornalista Guglielmo Pepe (firma del giornale romano e storico direttore dell’allegato Salute). Ecco un brano del suo articolo:

Comunque stando alle certificazioni mediche e alle testimonianze dei genitori, la piccola aveva avuto dei miglioramenti, che si registravano sempre dopo le infusioni. Senza altre cure a disposizione i genitori avevano riposto perciò totale fiducia nel metodo. Così dalla Sicilia andavano a Brescia, per un ciclo di cinque infusioni. L’ultima, a gennaio, non era stata fatta perché la direzione degli Spedali aveva deciso di bloccare le terapie Stamina.
Proprio per questa ragione, e vedendo che Rita peggiorava senza infusioni, i genitori si erano rivolti alla magistratura, vincendo il ricorso che intimava agli Spedali di Brescia di garantire la continuità delle terapie, come previsto dalla legge 57, per i malati curati prima della sua entrata in vigore.
L’ordinanza del Tribunale di Ragusa, emessa il 27 maggio proprio ad un anno dalla 57, imponeva al direttore degli Spedali, Ezio Belleri, di trovare entro cinque giorni un medico che praticasse le infusioni, perché secondo il giudice era necessaria una immediata ripresa del trattamento.
Così non è stato. E adesso la piccola è morta.
Si può pensare ciò che si vuole di Stamina, si può essere totalmente d’accordo con i ricercatori che bocciano il metodo, si può avere una pessima considerazione di Vannoni (anche se nessun Tribunale lo ha ancora condannato), ma di fronte alle sentenze a favore dei malati e non rispettate non si può far finta di nulla.
Rita aveva diritto alle infusioni. Perché lo aveva stabilito una sentenza, in base alle condizioni peggiorative in cui si trovava. Non in base ad una più che improbabile adesione del giudice al metodo Stamina. Ma per una questione di diritto. In questo caso negato.
Qualcuno dovrebbe spiegare come sia possibile non trovare, fra Ordine dei medici, ospedali pubblici, enti di ricerca, un camice bianco disposto a praticare le infusioni. Tutti obiettori di coscienza? E obiettori di coscienza che negano una terapia, considerata da altri medici e certificata dagli stessi, ultima e unica speranza di sopravvivenza?

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