Dall’inizio della pandemia 150 donne lavoratrici in provincia di Ragusa hanno gettato la spugna

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“I dati, purtroppo, continuano a darci ragione. Sono un paio di migliaia nella nostra isola, poco più di 150 solo nella provincia di Ragusa, le lavoratrici madri costrette alle dimissioni a causa della pandemia. Mentre lo smart working si è trasformato per le donne in un sovraccarico senza soluzione di continuità. E tutto ciò nella regione in cui gli asili nido accolgono meno del dieci per cento dei bimbi da zero a tre anni”.

Ad affermarlo è la segretaria generale dell’Ust Cisl Ragusa Siracusa, Vera Carasi, a proposito della necessità di creare un’agenda di genere e di adottare misure che concilino vita e lavoro oltre che un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile. “Prendiamo spunto – spiega Carasi – dalla diffusione dei dati che la nostra organizzazione sindacale ha fatto in occasione del Primo maggio, in concomitanza con la partecipazione a un incontro su MedicalExcellenceTv, per evidenziare, nostro malgrado, che tutte le preoccupazioni evidenziate in questi ultimi mesi si sono fortemente radicate. Il Covid si è abbattuto, come una tegola, soprattutto sulla testa delle donne. Sono state loro, in tempi di pandemia, a pagare il prezzo più alto. Anche in provincia di Ragusa. Lo avevamo già detto e, adesso, ce lo confermano i dati”.

“Quasi una donna su quattro oggi – continua la segretaria dell’Ust Cisl Rg Sr – non lavora, con un gap di quattro-cinque punti peggiore del tasso dei senza lavoro maschi. Inoltre, le lavoratrici madri che in questi mesi sono state costrette a lasciare il lavoro lo hanno fatto per l’impossibilità di conciliarlo con le attività di cura in famiglia. Oltretutto perché anche lo smart working, di cui si è fatto largo uso dalla primavera 2020 in poi, si è tradotto per le donne in un enorme sovraccarico senza soluzione di continuità. E in molte sono state costrette a gettare la spugna”.

La Cisl punta l’attenzione sull’inadeguatezza del sistema regionale del welfare e dei servizi socioassistenziali. “Che invece – sottolinea Carasi – dovrebbero favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e nei circuiti dell’economia. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che gli asili nido accolgono attualmente meno del dieci per cento dei bimbi da zero a tre anni, si ha chiara la sensazione di come pesante sia l’ipoteca che pende sulle giovani coppie. E sulle donne specialmente. Dobbiamo, per questo, puntare alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La nostra organizzazione sindacale, inoltre, ha chiesto alla Regione l’incremento del tempo pieno nelle scuole primarie e in quelle secondarie di primo grado; il potenziamento dei consultori e dei servizi di medicina territoriale. E ai sensi della Convenzione di Istanbul, il rafforzamento delle politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne in quanto grave violazione di fondamentali diritti umani”.