“Quando a Modica bruciammo le cartoline per il fronte”. Le storie che deviano la Storia

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Ecco uno spaccato di storia modicana ignoto ai più.
Ve lo raccontiamo per non lasciare che si perda, visto che dei protagonisti di questa storia ne rimane in vita solo uno. E ve lo raccontiamo perché è una storia di Ideali, con la “I” maiuscola, quelli di cui oggi si sente drammaticamente la mancanza.

Modica, dicembre del 1944. In pieno secondo conflitto mondiale, anche la Contea ha pagato, e paga, come tutte le altre città, il suo triste tributo alla seconda guerra mondiale.
Tanti i giovani strappati alle loro famiglie per essere catapultati in una realtà terribile e sentita come lontana.
La campagna di Grecia era iniziata tre anni prima, nel 1940, con l’esercito regio italiano che aveva invaso i confini ellenici dalla vicina Albania. L’impresa si era rivelata più difficile del previsto per la fiera resistenza dei greci ed era costata tanti morti: se ne contano più di 13 mila alla fine della Campagna nel 1944.

Tra di loro anche diversi modicani. Alcuni però, i più fortunati, sono riusciti a riabbracciare i loro cari.
Ma la Patria ha continuo bisogno di forze al fronte e non esita a richiamare i reduci delle varie Campagne per dare man forte.
I reduci modicani stavano ancora faticando a riprendere in mano le redini della vita di tutti i giorni e in città arriva la notizia che tutti temono: al Comune sono arrivate le nuove cartoline di chiamata alle armi.

Lo stato fascista, o almeno quel che restava di esso dopo l’armistizio di Cassibile (detto anche armistizio corto, di fatto la resa incondizionata alle truppe Alleate), vuole dimostrare agli alleati che è ancora vivo e quindi richiama i reduci. L’indiscrezione, anche senza cellulari e social network, circola subito, il malcontento cresce di giorno in giorno tra la popolazione, già stremata dalla povertà e dalla guerra.
Tutta la rabbia del popolo esplode in una fredda mattinata di metà dicembre.

È il 15 dicembre e complice il mercato degli animali, quella mattina c’è particolarmente fermento. Comincia a levarsi alta la voce tra la folla. Bisogna muoversi, il popolo modicano non può accettare di perdere ancora i propri figli in nome di qualcosa che non sentiva proprio. La gente comincia ad accalcarsi minacciosa sotto Palazzo San Domenico. Vengono chiusi i cancelli ma fermare una folla inferocita non è mai semplice. Il lucchetto viene fatto saltare ed il Comune è “espugnato”.
peppino stracquadanio e la moglie grazia
Tutti a caccia delle cartoline militari.
Le trovano infine quattro giovani della città. Che, pur non essendo tra i destinatari delle missive, odiano la guerra e non possono accettare che altri coetanei vadano a morire lontano. E allora, infischiandosene del carcere, o chissà che cos’altro, danno fuoco alla stanza e “mandano in fumo” la chiamata alle armi.
Non è difficile immaginare quanto, nel caos che regna in quegli anni concitati e senza moderne tecnologie, potesse rivelarsi complicato rintracciare e rimandare l’elenco dei partenti.

Quante vite abbiano salvato quei quattro giovani con il loro gesto estremo, nessuno lo potrà mai sapere. Rimarrà per sempre però il loro esempio eroico.
A raccontarci la storia è stato Peppino Stracquadanio, 91 anni, unico superstite di quel quartetto ed ex direttore delle poste che ha conservato il suo animo battagliero: “Eravamo amici da sempre con Meno Nardi, Pietro Cappuzzello e Ignazio Pulino. Nessuno di noi era tra quelli che dovevano partire ma non potevamo accettare che altri ragazzi, altri amici nostri fossero mandati a morire senza un motivo. Ricordo che mi colpì molto il pianto disperato di una mia vicina di casa, una madre che aveva già perso un figlio in guerra e che aveva appena saputo che anche il secondo era stato richiamato al fronte. Quel giorno sfruttammo l’aiuto dei massari che erano in città per vendere il loro bestiame. Approfittammo della confusione ed entrammo in comune per bruciare quelle maledette cartoline. Ci riuscimmo e ne fummo orgogliosi“.

I giorni a seguire non furono facili per il quartetto di eroi. La polizia fascista, pur al crepuscolo, cominciò il rastrellamento degli assaltatori di Palazzo San Domenico. Molti finirono in carcere, non Peppino che riuscì a far perdere le proprie tracce nascondendosi nelle campagne di C.da Scardacucco.
Lì per diversi giorni andava a trovarlo la fidanzata Grazia, anche lei ex dipendente delle Poste e ancora oggi a fianco del marito, che gli portava da mangiare e vestiti puliti: “Dovevo stare nascosto tutto il giorno e ogni volta che passava qualcuno avevo paura che stessero venendo a prendermi. So che qualcuno in carcere aveva provato a tradirmi e a rivelare alla polizia dove mi nascondevo, ma fortunatamente il mio amico Meno Nardi fece in modo che questo non accadesse. Non mi pentii mai del mio gesto e lo stesso si può dire per gli altri tre che parteciparono con me. Abbiamo salvato delle vite di ragazzi innocenti, era giusto rischiare.
Questi sono i veri ideali, non quelli per cui venivamo mandati al macello”.