Se queste sono Primarie/2: come si cambia, per non morire

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Se per caso o per errore ne era sfuggita una, tra le infinite formule verso cui si era spinta negli ultimi decenni la fantasia dei politicanti per indurre nella gente sgomento e disgusto, a Palermo l’hanno trovata e a Ragusa si preparano ad applicarla.

In un momento in cui la sensibilità degli elettori per la coerenza e la trasparenza è più spiccata che mai, non si poteva inventare niente di meglio per deluderli di questa originale alchimia delle Primarie tra Pd, Udc, Megafono e Territorio.

 

Eviterei volentieri di citare me stessa, ma giusto qualche settimana fa su questo stesso blog avevo scritto un post dal titolo “Se queste sono Primarie” e adesso quasi mi sento in colpa per quella specie di profezia: “Le Primarie – avevo scritto – o trovano la loro forza nell’identità e nell’appartenenza, nel riconoscimento della visione politica e nella legittimazione reciproca di eletti ed elettori – il che garantisce la tenuta o addirittura il rafforzamento del soggetto politico che le promuove anche nel momento in cui una propria componente risulta inevitabilmente minoritaria e sconfitta – oppure trovano la loro forza solo nell’opportunismo elettorale, riducendosi a uno strumento come tanti per sperimentare fusioni a freddo e sommatorie di voti”.

Forse non era una profezia difficile, aspettarsi che gli aspiranti candidati a sindaco potessero tentare di salvarsi la pelle, fuoriuscendo da situazioni di isolamento attraverso i più improbabili matrimoni di interesse. Ma ammetto che non mi sarei aspettata di vedere questi matrimoni imposti – come del resto accadeva nelle migliori famiglie d’altri tempi – direttamente dai “genitori”.

 

Che le segreterie palermitane abbiano buoni motivi per pretendere il consolidamento degli assetti regionali attraverso la loro imposizione sulle realtà locali, è plausibile: quello che non ci si riesce proprio a spiegare è come possano le segreterie provinciali e cittadine del capoluogo aver accettato una soluzione così impossibile da ammettere alla propria coscienza e da spiegare al proprio elettorato.

Si può ammettere che non esistano più gli steccati – termine negativamente connotato con cui oggi si indicano quelle che un tempo erano invece le idee, le visioni, i valori della politica – ma non si può ammettere di cancellare persino il passato delle persone e di rinunciare alla pretesa che si comportino in modo coerente.

Si può ammettere che si spieghi ai ragusani che non esistono più la destra e la sinistra, che per un movimento nato a destra è indifferente trovarsi a fare le primarie a sinistra, che per persone che sono state per decenni esponenti di partiti di destra non rappresenta un problema salire su un traghetto e fare rotta verso altri lidi e viceversa. Ma non si può ammettere che si chieda ai ragusani di dimenticare che Peppe Calabrese e Giovanni Cosentini sono stati per decenni – e fino a pochi mesi fa – acerrimi nemici e che i loro scontri non si sono consumati certo per ragioni personali, ma per questioni cruciali sul futuro della città di Ragusa.

 

Le domande che rivolgiamo a entrambi – e a cui sia Calabrese che Cosentini farebbero bene a rispondere prima del 14 aprile, data in cui si celebreranno queste improbabili consultazioni che dovremmo rifiutarci di definire Primarie, per rispetto alle vere Primarie e alla loro vera qualità politica – sono due:

  1. Vi è pienamente chiaro che le Primarie si svolgono tra forze politiche che, nel momento in cui si accordano per farle, dichiarano di stare nella stessa coalizione e che dunque, a prescindere da chi vincerà questa primo turno di qualificazione, qualora vi toccasse la fortuna di vincere le elezioni, dovreste amministrare assieme dimostrando ai ragusani di avere una visione comune del governo della città, che finora non avete mai avuto e che in questa circostanza non avete ancora nemmeno esplicitato in un programma condiviso?
  2. E vi ha mai sfiorato il sospetto che i vostri elettori non siano confezionati in pacchetti che voi avete il potere di spedire all’indirizzo dei candidati e dei progetti che più vi conviene, ma che abbiano una testa pensante e delle convinzioni che non è possibile smontare semplicemente dicendo che a Palermo hanno deciso così?

 

“Come si cambia, per non morire”, diceva una vecchia canzone. Solo che in questo caso non si cambia per amore.

Comprendiamo che in un contesto di eccessiva frammentazione, provare a semplificare il quadro politico attraverso la sommatoria di tre partiti e di tre candidati che altrimenti avrebbero rischiato di “morire”, sia per loro un motivo valido per “cambiare” (cambiare strategia, cambiare posizione, cambiare idea, cambiare discorso…). Ma è bene che sappiano sin d’ora che la fusione a freddo dei loro istinti di sopravvivenza non coinciderà con la fusione a freddo della voglia del loro elettorato di mantenerli in vita.

Perché se c’è un’idea che gli elettori hanno cambiato di sicuro, in questi ultimi tempi, è quella di dipendere dalla politica: e se si è finalmente stabilito che, al contrario, è la politica a dipendere dagli elettori, può anche darsi che esistano dei comportamenti degni di ammonizione o addirittura di licenziamento. E potrà succedere di scoprire che la rinuncia alla coerenza meriterà proprio il più drastico dei provvedimenti disciplinari.