‘La mia vita al burro’. Il libro di Philippe Léveillé presentato a ‘I Banchi’

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'La mia vita al burro' presentato a 'I Banchi'

“Ogni bravo cuoco ha il ‘suo’ ingrediente, quello che lo accompagna dall’infanzia, che ne racconta le radici e che rappresenta il filo conduttore lungo tutti i piatti che lo hanno fatto diventare grande. Per Philippe è il burro, come per me può essere il sale”.

Si apre così la presentazione del libro dello chef stellato francese Philippe Léveillé ‘La mia vita al burro’. L’introduzione è d’autore, è di Ciccio Sultano, collega, suo compagno di viaggio e di avventura nel programma televisivo ‘Pechino Express’.

Due ore di appassionato racconto, attraverso aneddoti e punti di vista, sul mondo della cucina, quella autentica, fatta di studio, gavetta, duro lavoro ma anche serenità ed allegria. I due chef si sono alternati, facendo emergere un modo diverso, personale ed allo stesso tempo parallelo di intendere un mestiere ed un modo di esprimersi.

‘La mia vita al burro’ (edizioni Giunti), racconta di un viaggio culinario, fatto di tantissime tappe, tutte importanti.

“La più significativa – ha spiegato l’autore – è quella che ha dato inizio a tutto”. Philippe Léveillé racconta della sua infanzia, in Bretagna. “Mio padre faceva l’ostricultore, io spesso lo aiutavo. Mestiere difficile, senza pause, che richiede grande sacrificio. Spesso quindi vedevo arrivare gli chef a casa mia, intenti a comprare la materia prima principe: le ostriche. Per me era una grande emozione. Ho capito che avrei voluto diventarlo anche io. La mia famiglia accolse con grande entusiasmo la notizia, questo mi ha dato grande carica ma mi ha anche responsabilizzato. In ogni cosa che ho fatto da allora, dai risultati conseguiti presso la prestigiosa scuola alberghiera di Saumur a via via tutto il resto, ho sempre cercato di non tradire la fiducia dei miei genitori”.

Un libro come un mappamondo, che racconta dei tantissimi viaggi compiuti da chef Léveillé. “Per uno chef rappresenta una fase di studio necessaria, importante”. Studio, ma anche gavetta, tanto lavoro, entusiasmo ed ambizione, ma senza esagerare! Philippe Léveillé spiega di non sentirsi un poeta.I versi li lascio ai poeti, il mio mestiere è da artigiano, io quotidianamente creo piatti, che siano buoni, belli, che trasmettano la mia gioia ai clienti. Questo facciamo”.

Composta quasi interamente da donne, alla sua brigata lo chef ,bretone di nascita ed italiano d’adozione, chiede sacrificio ma anche sorrisi e allegria. “Divertirsi senza prendersi troppo sul serio”. “Sono cresciuto professionalmente in cucine dove si urlava e si tirava di tutto, nella mia ho scelto di ascoltare musica e di lavorare con serenità. Credo si dia il meglio”.

Diverso il temperamento, ma non la visione, di Ciccio Sultano. Anche lo chef ragusano ha raccontato come quotidianamente si affronta la sfida di far entrare clienti nel proprio locale. Stelle o non stelle, quella è la missione. Ed a proposito degli illustri riconoscimenti, entrambi raccontano la propria esperienza. Philippe Léveillé a Brescia, ottiene la consacrazione delle 2 stelle Michelin come chef del “Miramonti l’altro” mentre a Hong Kong con il ristorante “L’altro”, premiato da una stella. “Tutti momenti indimenticabili – ha detto – la Michelin per qualsiasi cuoco è un marchio indelebile. Una emozione che può capire solo chi l’ha provata”. Eppure, lo chef bretone aggiunge: “L’orgoglio della stella va bene nel giorno che la ricevi, poi basta, si torna a lavorare come sempre. Significa che hai fatto bene il tuo mestiere, solo il tuo mestiere. Nella mia carriera non ho mai lavorato per questo, bensì per fare crescere la mia azienda”.

Ciccio Sultano ha detto la sua: Per me la prima stella ha rappresentato una nuova sfida, dal giorno dopo ci siamo messi al lavoro per migliorarci sempre di più. Grazie a questo non solo l’abbiamo confermata, ma ne è arrivata una seconda. Devo dire che non ci ho creduto fin quando non ho sfogliato le pagine della Michelin. Ricordo che iniziai a far festa da quando uscì sino al 7 gennaio. In tutto 25 giorni di brindisi, e mi è costato pure parecchio!”.

Un lavoro duro, quello dello chef. “Lo facciamo perché ci piace. Fatica, certo. Ma quale lavoro non dà fatica?”, concordano i due protagonisti della serata, molto chiari su quello che pensano del loro mestiere. “La mia è una cucina a sensazione – dice Philippe – ovvero ci vuole la capacità di dare il tuo gusto alle cose che fai. In cucina non c’è posto per chi non ha talento. Il nostro è un mestiere, non una moda”.

Un piatto nasce dalla testa, magari dalla ‘panza’ o dal cuore – conclude Ciccio Sultano – ma se non hai palato non puoi dar forma alla tua visione, se non hai esperienza non hai la capacità di costruire qualcosa e non potrai mai essere un cuoco d’autore”.