Da Ragusa a Palermo e poi Roma. L’assemblea del PD diventa una via crucis

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Se la Commissione regionale di garanzia ci ha messo quattro mesi a decidere di invalidare l’assemblea provinciale del Pd in cui, senza il numero legale, fu eletto il presidente Bartolo Giaquinta, chissà quanti ce ne metterà ora la Commissione nazionale per decidere se questa invalidazione è valida.
Scusate il gioco di parole, ma è proprio così che stanno le cose: la prossima puntata della saga che riguarda gli organi dirigenti del Pd provinciale sarà il ricorso che verrà presentato a Roma, contro la decisione di Palermo, da parte di Giaquinta e del segretario provinciale Giovanni Denaro.

Nessun ripensamento, dunque, né tentativo di ragionevole ricomposizione senza arbitri esterni: l’intervento dei “giudici” palermitani è servito solo a rafforzare tutti nelle proprie posizioni, chi in quella della minoranza che si oppone con determinazione a Denaro, chi in quella della strenua difesa del risultato congressuale (che risale – val la pena ricordarlo – a ormai un anno fa).

“Riteniamo che si stia discutendo di una questione meramente tecnica“, dichiara il segretario Dem provinciale, Giovanni Denaro: “e non ci riteniamo soddisfatti non solo rispetto all’esito, ma anche rispetto alle motivazioni addotte. Se a Palermo ci hanno messo quattro mesi per decidere, ammesso che non si sia già completamente fuori dai tempi previsti dallo statuto, ci saremmo almeno aspettati argomentazioni più estese di quelle contenute in una sentenza di poche righe. Rispettiamo certamente gli organismi, ma è nostro diritto fare ricorso a Roma, lo faremo chiedendo spiegazioni su queste mancate argomentazioni e nel frattempo continueremo a fare quella che per noi è la vera politica. Abbiamo iniziative importanti in cantiere e lavoriamo in stretto rapporto con la deputazione per le questioni che abbiamo messo nelle loro mani e che riguardano il territorio”.

Al momento resta quindi congelata la riconvocazione, che secondo le prescrizioni arrivate da Palermo sarebbe dovuta avvenire entro due settimane, dell’assemblea dei delegati per procedere nuovamente all’elezione del presidente.

Naturalmente è dell’avviso completamente opposto Peppe Calabrese, avversario di Denaro nel congresso di un anno fa e tra i primi promotori del ricorso presentato a Palermo contro l’elezione di Giaquinta: “Il punto qui è come Denaro si senta di continuare a reggere il partito, quando è chiaramente delegittimato. Gli sono state necessarie tre assemblee per eleggere presidente un uomo di sua fiducia ed è riuscito a farlo solo quando mancava il numero legale, in condizioni di totale illegittimità. Ora che Palermo ha dato ragione a noi, la cosa più ragionevole da fare sarebbero per Denaro le dimissioni. Intanto possiamo certamente attribuirgli la responsabilità di un anno di stasi rispetto a quella che dovrebbe essere la vera politica, per le idee e per il territorio e continuiamo a trovarci nel paradosso di un partito completamente bloccato”.

Nel dibattito interviene anche Mario D’Asta, che proprio a seguito di quell’assemblea diede le dimissioni da vicesegretario, in polemica con Denaro: “Annullare quell’assemblea assume un significato importante per il nostro partito democratico provinciale. Significa che le regole in questo partito sono un valore, rappresentano quello strumento comune, intriso di principi, a cui tutti ci ispiriamo con grande orgoglio. Quell’assemblea, per la sua gestione e per il suo esito finale alquanto bizzarro ed infelice, causò anche le mie dimissioni e lo rifarei altre mille volte. Le mie dimissioni hanno anche avuto un significato politico: c’era e permane ancora ad oggi la sensazione, se non la certezza, che il partito provinciale sia a trazione territoriale volendo rappresentare una parte, lasciandone fuori altre, sensibilità culturali e politiche comprese. Ora si rifletta bene e subito: il futuro è nelle nostre mani”.